Matt Pyke

ARTICOLO n. 65 / 2024

CHAMELEON: UNA CREATURA MUTANTE NEL CUORE DI VENEZIA

intervista di francesco d'isa

Matt Pyke, fondatore e direttore dello studio Universal Everything, è un artista noto per il suo approccio innovativo all’arte digitale. Per la Fondazione Cini ha di recente creato Chameleon, un’opera site-specific ambientata nella bellissima isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Pyke ha sempre esplorato la relazione tra la figura umana e il movimento nelle sue opere, ma con Chameleon sposta l’attenzione sull’interazione dinamica tra la figura e l’ambiente circostante. Ho avuto modo di intervistare l’artista per approfondire il suo lavoro, e ne ho approfittato anche per chiedergli un’opinione su come e quanto le AI influenzeranno l’arte e quale sarà la risposta dell’arte digitale alla nascita e la diffusione tra il grande pubblico di queste nuove tecnologie.

Francesco D’Isa: Nel tuo lavoro con lo studio Universal Everything c’è un’attenzione ricorrente verso la figura umana in movimento, come in opere come Run Forever e Future You. Tuttavia, in Chameleon lo sfondo gioca un ruolo da protagonista tanto quanto la figura stessa. Potresti raccontarci come questo doppio focus ha influenzato la creazione di Chameleon?

Matt PykeChameleon è una creatura che si trasforma mutando materia, colore e texture. Si aggira nell’Isola di San Giorgio Maggiore in una sorta di passeggiata visionaria ad altissima definizione, accompagnando gli spettatori per dodici minuti attraverso ambienti che un tempo erano monasteri e che oggi ospitano gli istituti, i centri studi, e le biblioteche della Fondazione. La figura entra nella Sala degli Arazzi, contempla le Nozze di Cana, attraversa il bosco con le Vatican Chapels. Diversamente da altri lavori in cui la figura che cammina era la protagonista, qui Chameleon si trasfigura mentre è in movimento, adattandosi ai colori, ai giardini, ai chiostri e agli arazzi che incontra lungo il suo percorso.

Questo lavoro è stato concepito come un’opera site-specific. Volevamo esplorare nuove possibilità offerte dalla tecnologia, investigando la figura umana in un modo nuovo, mescolando realtà e digitale per creare una forma vivente digitale che fosse in armonia con il contesto circostante. Abbiamo cercato di far dialogare la figura con l’ambiente, creando qualcosa che fosse al tempo stesso parte del luogo e unica nel suo genere.

F.D. In Chameleon avete sviluppato una tecnica per mappare gli ambienti su una figura umana, creando texture con rilievi e contorni. Potresti approfondire questo interessante processo? In che modo questo approccio si differenzia dai tuoi lavori precedenti?

M.P. Per creare Chameleon abbiamo utilizzato un nuovo software di intelligenza artificiale estremamente interessante. Questo software traccia il movimento dell’attore che cammina nello spazio, estrae i dati e li rimuove dall’ambiente, per poi sostituirli con una figura CGI (Computer Generated Imagery). Il risultato è un movimento umano realistico che attraversa lo spazio. Successivamente, ci siamo concentrati sulla mappatura delle texture in tempo reale, una cosa che fino a poco tempo fa sarebbe stata impossibile.

Abbiamo sviluppato una tecnica di estrusione dell’ambiente che ci ha permesso di creare una figura tridimensionale in metamorfosi continua, basata sui luoghi che attraversa. Inizialmente, tutto è stato realizzato in tempo reale, per poter posizionare la figura negli ambienti e vedere come il contesto influenzasse le texture del corpo. Poi abbiamo utilizzato un software per tracciare la scena e ottenere la prospettiva, la luce e le ombre corrette, prima di inserire la figura nelle scene.

Si tratta di una scultura digitale moderna, una scultura impossibile che non potrebbe esistere al di fuori del mondo digitale, una scultura in movimento. Per fare l’estrusione e il rilievo abbiamo lavorato sui pixel più chiari e più scuri, che ci hanno aiutato a percepire e restituire la profondità.

F.D. Quest’anno ricorre il decimo anniversario del riconoscimento di Universal Everything al Festival Ars Electronica con Walking City. Poiché l’arte digitale è una disciplina relativamente giovane e strettamente legata alle tecnologie emergenti, come vedi l’evoluzione di questo campo? Come è cambiato il tuo approccio all’arte digitale nel corso degli anni, e quali cambiamenti prevedi per il futuro di questo medium?

M.P. La prima cosa che è cambiata è la velocità. Oggi possiamo lavorare in tempo reale con il computer, cosa che prima era impensabile. Anni fa, per ottenere un rendering realistico ci volevano due o tre settimane; ora, grazie a tecnologie simili a quelle utilizzate nel gaming, possiamo ottenere risultati molto realistici in tempo reale.

Anche dal punto di vista del display delle opere è cambiato molto. Un tempo avevamo solo schermi rettangolari, ma ora abbiamo schermi più grandi e di forme diverse, che si adattano agli edifici e ad altre superfici. Le superfici su cui proiettiamo le nostre opere sono più flessibili, più grandi e più varie in termini di forma.

Dal punto di vista concettuale, ciò che sta cambiando e cambierà rapidamente è l’estetica. In passato si cercava di presentare visioni impossibili; ora, con l’AI, questo è diventato relativamente facile per chiunque. Quindi, la sfida è trovare un’estetica che non sia già stata esplorata o che vada oltre ciò che è facilmente ottenibile con l’AI. Dobbiamo andare oltre l’estetica standard, perché l’AI è bravissima a fare remix, ma trovare qualcosa di veramente unico sarà sempre più difficile.

Adesso inoltre esistono nuovi formati di display, come i visori VR, per esempio Apple Vision, e la realtà aumentata immersiva. Questi strumenti offrono nuovi modi per entrare negli spazi privati e offrire esperienze collettive. Con la VR, l’arte digitale diventa più partecipativa. Possiamo anche creare video immersivi in spazi molto versatili, come pavimenti e soffitti, con proiezioni interattive. E non si tratta più solo di loop video; possiamo creare opere che si evolvono e cambiano con ogni visitatore, offrendo ogni volta un’estetica o un’esperienza diversa.

F.D. Come artista e filosofo che lavora a stretto contatto con l’AI, sono molto interessato a come l’intelligenza artificiale stia trasformando il mondo dell’arte. Nella tua esperienza, come vedi l’AI influenzare il futuro della creazione artistica? Alcuni artisti esprimono preoccupazioni sul fatto che l’AI possa minare l’autenticità dell’espressione artistica. Considerando il tuo lavoro con l’AI, qual è la tua prospettiva in merito?

M.P. Lavorare con nuovi strumenti è, per me, parte del piacere di fare arte. Mettere il proprio talento al servizio della scoperta, utilizzando strumenti nuovi in modi innovativi, è sempre stato fondamentale per il mio processo creativo. Ora, l’intelligenza artificiale rende tutto questo accessibile a tutti, forse persino troppo facile, e questo è un fenomeno interessante. Oggi, chiunque con un iPhone può fare cose incredibili. La tua è una domanda interessante: bisogna trovare strade nuove per restituire l’unicità, per creare cose mai viste prima, e sarà più difficile andare oltre l’estetica standard, sia per l’esistenza delle AI che per la loro capacità di fare remix.

Negli ultimi anni, gli strumenti AI sono diventati più accessibili al grande pubblico, permettendo a molte più persone di sperimentare senza richiedere un grande investimento di tempo o denaro. Questo ha generato scompiglio. La reazione dei pittori all’arrivo della fotografia è stata simile, portando alle avanguardie del ‘900. Penso che sia fondamentale creare strumenti unici per generare nuove forme. Come nella musica, c’è chi manipola i propri strumenti e chi segue certi standard; per fare cose nuove, servono strumenti nuovi, e nel nostro studio vogliamo sempre costruire nuovi strumenti, così da mantenere la nostra visione unica e indipendente. La personalizzazione delle tecnologie sarà essenziale.

F.D. Il processo di creazione di Chameleon ha coinvolto non solo le tecnologie, ma anche una collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini. Come ha influenzato questa collaborazione il risultato finale del progetto? 

La Fondazione Giorgio Cini è un luogo bellissimo e molto vario, e per noi è stato essenziale studiare le transizioni tra gli ambienti. Chameleon cerca di catturare l’unicità della Fondazione, illuminando alcune delle aree meno conosciute di questo luogo. Abbiamo filmato i chiostri, la Biblioteca del Longhena, la Manica Lunga, il bosco, le Vatican Chapels e altro ancora. Si tratta di arte digitale, ma in questo caso è stata pensata con uno scopo specifico: invitare il pubblico a immergersi nell’ambiente e a scoprire alcuni degli aspetti e dei dettagli unici di un luogo così speciale.

Uno dei nostri interessi principali, da lungo tempo, è la creazione di nuove forme di immagini in movimento. Ci siamo naturalmente ispirati anche al lavoro di scansione e archiviazione svolto dalla Fondazione Giorgio Cini. Ci è piaciuta l’idea di combinare queste due cose attorno a una figura che cammina, esplora l’ambiente, ma scansiona e assorbe anche i materiali, le trame e le superfici circostanti. L’architettura classica, combinata con i chiostri, i corridoi interni, gli arazzi e il bosco, ci ha fornito tantissime texture interessanti con cui lavorare. Come materiale di partenza, è stato strutturalmente diverso da ciò a cui siamo abituati, e proprio per questo molto stimolante e ideale in termini di creazione con le nuove tecnologie.

Chameleon comunque è solo il primo di una serie di opere. Vogliamo usare “Chameleon” per rivelare spazi nascosti in tutto il mondo e ne stiamo già realizzando altri, uno a Londra e uno in Corea, in un ambiente naturale. È affascinante vedere come la figura reagisce a diversi contesti; lo abbiamo persino provato in un supermercato ed è stato molto strano!