Joseph Ponthus

ARTICOLO n. 72 / 2022

LA FABBRICA MI HA FOTTUTO

Alla linea. Fogli di fabbrica

Ringraziamo Bompiani per la disponibilità a pubblicare in anteprima un estratto da Alla linea di Joseph Ponthus in libreria da mercoledì 21 ottobre.

Entrando in fabbrica 

Naturalmente immaginavo 

L’odore
Il freddo 

Il trasporto di carichi pesanti 

Il disagio
Le condizioni di lavoro
La catena 

La schiavitù moderna

Non ci andavo per fare un reportage
Men che meno per preparare la rivoluzione
No
La fabbrica è per i soldi
Un lavoro per campare
Come si dice
Perché mia moglie è stufa di vedermi buttato sul divano in 

attesa di un lavoro nel mio settore
E quindi sarà
L’agroalimentare
L’agro
Come dicono 

Una ditta bretone di produzione e trasformazione e cottura e 

tutto il resto di pesci e gamberetti
Non ci vado per scrivere
Ma per i soldi

All’agenzia interinale mi chiedono quando posso cominciare 

Tiro fuori Hugo la mia solita battuta letteraria e scontata

“Be’ domani all’alba nell’ora in cui biancheggia la campagna”

Mi prendono alla lettera attacco il giorno dopo alle sei del 

mattino

Con il passare delle ore e dei giorni il bisogno di scrivere si 

ficca tenace come una lisca in gola
Non la desolazione della fabbrica
Ma la sua paradossale bellezza 

Sulla mia linea di produzione penso spesso a una parabola che 

ha scritto credo Claudel
Sulla strada da Parigi a Chartres un pellegrino s’imbatte in un operaio impegnato a spaccare pietre 

Cosa fai
Il mio lavoro
Spaccare pietre
Uno schifo
La schiena finita
Una roba da cani
Non dovrebbero permetterlo
Meglio crepare
Qualche chilometro più avanti un secondo operaio nello stesso cantiere
Stessa domanda
Sgobbo
Ho una famiglia da sfamare 

È un po’ dura
Va così e va già bene avere un lavoro 

È la cosa più importante
Più avanti
Prima di Chartres
Un terzo uomo
Viso raggiante
Cosa fai
Costruisco una cattedrale 

Possano pesci e gamberetti essere le mie pietre

Non sento più l’odore della fabbrica che all’inizio mi irritava le 

narici
Il freddo è sopportabile con un maglione pesante una felpa
col cappuccio due buone paia di calze e la calzamaglia sotto i pantaloni 

I carichi pesanti mi fanno scoprire muscoli di cui ignoravo l’esistenza
La schiavitù è volontaria
Quasi felice

La fabbrica mi ha fottuto
Ne parlo solo dicendo
La mia fabbrica
Come se io piccolo interinale che sono tra tanti altri avessi una qualche proprietà delle macchine o della produzione di pesce o 

di gamberetti 

Tra poco
Lavoreremo anche molluschi e crostacei
Granchi astici grancevole e aragoste
Spero di vedere questa rivoluzione
Fregare qualche chela anche se lo so che non sarà possibile 

Già che non riusciamo a far uscire nemmeno un gamberetto 

Devi proprio nasconderti per mangiarne uno
Quando non ero ancora abbastanza discreto la vecchia collega Brigitte mi aveva detto 

“Io non ho visto niente ma attento ai capi se ti beccano”
Da allora traffico sotto il grembiule con il triplo paio di guanti 

che mi separano dall’umidità dal freddo e da tutto il resto per sgusciare e mangiare quello che considero come minimo un risarcimento in natura 

Parto in quarta
Torniamo alla scrittura
“Scrivo come parlo quando l’Angelo di fuoco della 

conversazione s’impossessa di me come un profeta” ha scritto qualcosa del genere non so più dove Barbey d’Aurevilly 

Scrivo come penso sulla mia linea di produzione vagando tra i pensieri da solo determinato 

Scrivo come lavoro
Alla catena
Alla linea e sulla linea a capo 

Attaccare con il turno
Non può essere altro che questo immenso corridoio bianco 

Freddo
All’inizio del quale ci sono i marcatempo intorno ai quali ci accalchiamo di notte all’ora di timbrare
Le quattro
Le sei
Le sette e mezza del mattino
A seconda del lavoro assegnato
Lo scarico cioè le casse di pesce da svuotare 

La lavorazione del pescato o spellatura cioè il sezionamento dei pesci
La cottura cioè tutto quello che riguarda i gamberetti 

Non ho ancora avuto la sfortuna del turno di pomeriggio o di 

sera
Cominciare alle sedici finire a mezzanotte
Qui 

Sono tutti d’accordo
E sono d’accordo anch’io per adesso
Che più cominci presto
Meglio è – senza contare le ore notturne pagate il venti per 

cento in più
Così “hai il pomeriggio libero”
“Se devi alzarti presto
Tanto vale alzarsi presto”
Col cazzo
Le tue otto ore di lavoro
Sono otto ore di lavoro a qualunque ora del giorno
E poi
Quando torni a casa
Quando stacchi
Torni
Ciondoli
Crolli
Pensi già all’ora da mettere sulla sveglia
Non importa che ora è
Sarà sempre troppo presto
Dopo il sonno di piombo
La sigaretta e il caffè del risveglio divorati
In fabbrica
Attacchi direttamente 

È come se non ci fosse una transizione dal mondo della notte

Ri-rientri in un sogno
O in un incubo
La luce dei neon 

I gesti automatici
I pensieri che vagabondano
In un torpore di risveglio
Tirare trascinare smistare portare sollevare pesare ordinare 

Come quando ti addormenti
Senza nemmeno provare a scoprire perché i gesti e i pensieri si mescolano
Alla linea
È sempre un sorprendersi che faccia giorno all’ora della pausa quando si può uscire per una sigaretta e un caffè 

Conosco solo pochi posti che mi fanno questo effetto 

Assoluto esistenziale radicale
I templi greci
La prigione 

Le isole
E la fabbrica
Quando ne esci
Non sai se ritrovi il mondo vero o se lo lasci
Anche se sappiamo che non esiste un mondo vero
Ma poco importa
Apollo ha scelto Delfi come centro del mondo e non a caso 

Atene ha scelto l’agorà come luogo di nascita di un’idea del 

mondo ed è una necessità
La prigione ha scelto la prigione che Foucault ha scelto
La luce la pioggia e il vento hanno scelto le isole
Marx e i proletari hanno scelto la fabbrica
Mondi chiusi
Dove si va solo per scelta 

Deliberata
E da cui non si esce
Come dire
Non si lascia un santuario indenni
Non si lascia mai davvero la galera
Non si lascia un’isola senza un sospiro
Non si lascia la fabbrica senza guardare il cielo 

Staccare dal lavoro
Che bella espressione
La usiamo in senso figurato
Ma capire
Nel proprio corpo
Visceralmente
Cos’è staccare dal lavoro
E il bisogno di lasciarsi andare di svuotarsi di fare la doccia 

per lavarsi via le squame dei pesci ma lo sforzo che ci vuole per alzarsi andare a fare la doccia quando sei finalmente seduto in giardino dopo otto ore di linea 

Domani
Come interinale
Il lavoro non è mai sicuro
I contratti sono di due giorni una settimana al massimo
Non è Zola ma potrebbe sembrarlo
Vorremmo scriverlo il XIX secolo e l’età dei lavoratori eroici 

Siamo nel XXI secolo
Spero di attaccare
Aspetto di staccare
Aspetto di attaccare
Spero 

Aspettare e sperare 

Mi rendo conto che sono le ultime parole di Montecristo 

Il mio caro Dumas
“Amico mio, il conte non ci ha appena detto che l’umana 

saggezza è tutt’intera in queste due parole: Aspettare e sperare!”