Ippolita

ARTICOLO n. 60 / 2024

CONTROLLO

le parole del futuro

Quali parole – volenti e nolenti – ci porteremo nel futuro? Che significato hanno oggi e assumeranno domani per noi e per il mondo in cui siamo immersi? Nelle prossime settimane daremo forma a un vero e proprio lemmario con cui indagare il significato e il senso di termini ritenuti centrali dalle autrici e dagli autori coinvolti.

Potrebbe sembrare scontato legare il tema del controllo a quello delle tecnologie digitali ma forse non lo è così tanto, considerato che c’è chi si indigna anche solo all’idea di accostare i due termini.

Eppure non solo da tanti punti di vista la cosa può aver senso, ma c’è anche una buona biografia a sostenere un simile approccio. Certo, forse una biografia non troppo accademica, probabilmente eterodossa, ma certamente di un certo rilievo.

Volendo però fornire qualche elemento per un ipotetico sommario si potrebbe cominciare nominando la creazione della cibernetica, la nascita e lo sviluppo della rete internet, le intuizioni visionarie di Burroughs e le riflessioni di Deleuze sulle società del controllo, certi scritti un po’ dimenticati del Critical Art Ensamble e di Tiqqun, passando per le analisi di Stiegler e del Comitato invisibile per arrivare alla gran quantità di studi dedicati all’argomento degli ultimi quindici anni. E come tralasciare tutto il dibattito intorno alla sorveglianza, la trasparenza, la biometria e la privacy?

Da questi pochi elementi dovrebbe già essere chiaro il motivo per il quale appare oggi del tutto in cattiva fede tenere separato il discorso sulle tecnologie digitali da quello sul controllo, i due sono infatti il medesimo.

Andando dritto al punto: questi decenni e i prossimi si configurano sempre più come un era nella quale la governance delle popolazioni – che ha sostituito il governo democratico degli stati amministrando i flussi delle risorse invece di sviluppare una politica per i loro cittadini – si attua sempre più per via digitale – algoritmica – dando vita a società del controllo che si configurano mimeticamente come sistemi di sorveglianza e tracciamento diffusi e capillari.

La premessa indispensabile per questo scenario è la fusione della vita off-line con quella on-line, nella dimensione nota come on-life. Lo strumento che sigilla questo passaggio e lo rende possibile è attualmente lo smartphone, ma nuovi device potranno prenderne presto il posto. Già adesso questo strumento non è che una parte di un apparato più grande, e funzionando di fatto come un terminale di una serie di calcolatori “server” allocati in remoti datacenter, ma anche elaborando e scambiando informazioni con altri dispositivi, dallo smartwatch ai sistemi di pagamento digitale fino ai sistemi di domotica.

Considerato poi gli investimenti in settori quali l’intelligenza artificiale, i computer quantistici e la nanotecnologia è certo che, presto o tardi, la loro diffusione ridefinirà ulteriormente dinamiche, soglie, campi d’azione, possibilità.

Due sono le direttrici del controllo, quella attiva e quella passiva, che sono però strettamente intrecciate tra loro. La prima ha a che vedere con la presenza e l’attività sulle piattaforme di messaggistica e dei social media, ossia con l’esposizione di sé, del proprio corpo e dei propri pensieri, con l’espressione di like e in generale gli indicatori per la numerificazione dell’esperienza digitale. L’altra si riferisce a tutti quei momenti nei quali la nostra attività è tracciata senza che ce ne rendiamo conto – antenne dati e wi-fi, tempi di connessione, uso di app, siti visitati, profili seguiti, abitudini di consumo eccetera.

Entrambe queste direttrici si muovono però su un sostrato comune, la quantificazione del sé, la biometria. 

Se quest’ultimo elemento, com’è noto, ha subito prima un’accelerazione dalla teorizzazione dei sistemi cibernetici e poi una sua normalizzazione nell’industria dei dati, propria delle tecnologie digitali dei social media commerciali e delle altre piattaforme di comunicazione e consumo, è però in buona parte ignorata la sua genealogia che ne fonda i presupposti culturali. E passa dall’organizzazione dei corpi dei lavoratori nelle fabbriche della modernità.

Per la studiosa Simone Browne questa genealogia si può retrodatare ai registri compilati sulle navi schiaviste che servivano per tracciare, identificare e certificare la proprietà delle persone deportate.

Già da qui si possono indicare alcuni concetti fondamentali: l’identificazione, la profilazione, la proprietà, ma anche la previsione, la pianificazione, la programmazione. Sono questi i tasselli fondamentali da cui sorge la logica del controllo delle tecnologie digitali. E sembra avere sempre a che vedere con la gestione dei corpi altrui, corpi subalterni, corpi su cui si pretende la proprietà, oppure inseriti in una ben definita gerarchia, corpi di cui avvantaggiarsi per il proprio tornaconto privato.

Veri demoni dell’età cibernetica, profilazione e previsione sono ossessivamente presenti, dal calcolo balistico degli ordigni alle indicazioni di consumo della prossima primavera, dalla proposta di contenuti, contatti, prodotti, intrattenimento, alla gestione dello sviluppo di povertà e ricchezza nelle aree metropolitane, fino all’identificazione degli obiettivi da bombardare nelle zone di guerra. La guerra torna sempre, sembra essere il basso continuo della logica del controllo.

Questo legame con la violenza potrebbe sembrare paradossale ma non lo è. Se è vero che nelle società di controllo il potere esercita il suo lato “morbido” perché la governance pratica la gestione della vita attraverso la persuasione, l’intrattenimento, il consumo culturale, l’economia dell’attenzione, ossia attraverso il controllo del tempo delle coscienze e dei corpi quale valore economicamente calcolabile, è altrettanto vero che è sempre presente, quando necessario, il suo rovesciamento, il suo “lato ombra”, dove domina la coercizione e la forza bruta. Questo rovesciamento, questo “lato ombra” avviene quando la reificazione di soggetti e ambienti è completa e totale – come già prefigurato da Burroughs – ossia quando la numerificazione e la possibilità di uso che permette non lascia spazio a nessuna alterità possibile, configurando così la pura “società strumentale”. In entrambe – come ci invitava a riflettere Caronia – assistiamo al passaggio dalla tecnologia come protesi alla tecnologia come mondo, non solo per la dimensione dell’on-life richiamata inizialmente o per la pervasività delle tecnologie digitali nella vita quotidiana ma per la capacità dell’informazione di farsi mondo e di farsi interiorità. 

È in virtù della potenza dell’informazione di dare forma a soggettività che hanno interiorizzato un sistema di valori e una razionalità della vita sociale conformi al discorso del capitale che oggi possiamo dire che la logica del controllo è interiorizzata.  Ed è il carattere storico e culturale di questa logica che deve essere affrontato dietro e al di là delle tecnologie digitali.

In questo scenario dove l’esterno si fa interno e l’interno si fa esterno, il controllo è un vettore che parte da più lontano nel tempo e che produce, più che esserne plasmato, la cultura cibernetica. Essa è però l’incarnazione teorica di questa logica, mentre la tecnologia digitale ne è quella pratica.