Harvey Sachs

ARTICOLO n. 13 / 2025

IL GIGANTE CIECO

George Eliot e Donald Trump

New York. – Sembra impossibile, ma una grande scrittrice inglese dell’Ottocento era riuscita a descrivere perfettamente Donald Trump. George Eliot (pseudonimo di Mary Anne Evans, 1819-1880), nell’epigrafe del ventunesimo capitolo del suo ultimo romanzo, Daniel Deronda, scrisse: «La Sapienza costruisce lentamente ciò che l’Ignoranza tira giù in un’ora. […] Sapienza è potere, ma è un potere frenato dagli scrupoli, essendo cosciente di ciò che deve essere e ciò che può essere; mentre l’Ignoranza è un gigante cieco, il quale, se lasciato agire quando viene slegato, si divertirebbe ad afferrare i pilastri che tengono su i materiali, lavorati a lungo, del bene umano, e a rendere tutti i luoghi di gioia bui quanto una Babilonia sepolta».

Deronda fu pubblicato nel 1876, e nei 149 anni trascorsi da allora, nonostante i vari Hitler, Mussolini, Stalin e via dicendo che hanno creato il buio nelle loro varie Babilonie, nessun altro leader politico ha corrisposto meglio di Trump alla descrizione del “gigante cieco” fatta dalla Eliot. Quei tre dittatori del primo Novecento, per quanto mostruosi, non possono essere tacciati di ignoranza: di narcisismo e megalomania sì, paranoia anche, e compirono atti molto più atroci di quanto l’attuale residente della Casa Bianca americana non abbia potuto fare, almeno finora, ma non erano proprio ignoranti o noncuranti delle proprie azioni. Sapevano ciò che facevano. Trump invece è proprio il Gigante cieco e slegato, in carne e ossa, libero ormai di fare praticamente qualsiasi cosa che gli passa per la mente o, ancora peggio, che altri più lucidi e sottili, e forse anche più fondamentalmente cattivi di lui, riescono a piantare nella testa di un leader poco istruito e ora in declino mentale.

Ciò che invece fa ancora più paura dei comportamenti del nostro Gigante e del suo luogotenente ormai in controllo di tutte le informazioni su mezzo mondo sono i senatori e deputati repubblicani che sono diventati mansueti e obbedienti come mai prima. Non siamo più ai tempi del presidente Nixon, repubblicano anche lui, quando membri del suo partito andarono a dirgli che doveva dimettersi perché le prove contro di lui per l’episodio di Watergate erano troppo ovvie e convincenti. No: noi ci troviamo in un’epoca in cui i membri repubblicani del Congresso guardano, forse allibiti ma silenziosi, quando il loro duce fa uscire dai carceri più di milleseicento persone condannate per violenze contro lo Stato stesso. Per fare un confronto storico con i senatori e deputati repubblicani di oggi bisogna risalire al parlamento italiano dopo la Secessione dell’Aventino nel 1924, al Reichstag di Hitler dopo l’incendio del 1933, o addirittura all’epoca di Augusto, quando faceva comodo alla maggioranza dei senatori lasciare le decisioni all’imperatore e godere i simboli e i benefici del potere. Altro che George Eliot un secolo e mezzo fa! Già diciassette, diciotto secoli prima Plutarco, Tacito e Svetonio sapevano tutto della mentalità dei leccapiedi. E poiché qualche mese fa la Corte suprema americana ha praticamente posto le azioni di un presidente sopra le leggi che riguardano gli altri cittadini del Paese, il nostro Gigante cieco può agire come gli pare – può diventare il Nerone dei nostri tempi, seppure in versione senile. Ave Donald!

Ah – avevo quasi dimenticato. Nel libro Fare un film Federico Fellini aveva, con visione profetica, descritto il nostro dittatore in erba, in un suo scritto sul fascismo: «Le eterne premesse del fascismo mi pare di ravvisarle […] nel rifiuto di affermare se stessi o il proprio gruppo non con la forza che viene dall’effettiva capacità dell’esperienza, dal confronto della cultura, ma con la millanteria, le affermazioni fini a se stesse, lo spiegamento di qualità mimate invece che vere […] Non si può combattere il fascismo senza identificarlo con la nostra parte stupida, meschina, velleitaria, una parte che non ha partito politico, della quale dovremmo vergognarci, e che a respingerla non basta dire: io milito in un partito antifascista. Perché quella parte sta dentro ciascuno di noi, e ad essa già una volta il “fascismo“ ha dato voce, autorità, credito».

Fellini, morto nel 1993, poteva usare il termine “una volta” riferendosi alla mentalità che aveva predominato nell’Italia della sua gioventù, ma noi in America adesso, un secolo più tardi, non abbiamo il diritto di servircene. “Una volta” per noi è oggi.

Tra i molti libri di Harvey Sachs ci sono Musica e regimeToscanini: la coscienza della musica e Schoenberg: perché ne abbiamo bisogno.