ARTICOLO n. 30 / 2025
IL NORD NON ESISTE
Il nord non esiste se non come spuria indicazione temporanea. Una definizione buona per un movimento, più adatta ai nomadi e meno agli stanziali. Una collocazione in ogni caso dentro alla quale diviene possibile darsi una forma, senza troppi rimpianti per il luogo da cui si proviene. Il nord Italia in particolare sta in realtà sempre nel mezzo. Al centro dei commerci, della finanza e di buona parte della cultura così come di molte di quelle cose che il Paese lo fanno funzionare per davvero. Il nord è dunque più che altro una definizione di orizzonte, poi per il resto se si fa si è.
Anche nel titolo del suo ultimo libro, Nord Nord (Einaudi), Marco Belpoliti rafforza e raddoppia, dichiarando così l’assoluta nebulosità di un luogo percepibile verticalmente come orizzontalmente. Una mappa attraversabile a piedi, un insieme di territori dai confini labilissimi che prima ancora d’intrecciarsi l’uno all’altro si confondono l’uno con l’altro. Il passo di Belpoliti è lento, osserva, medita e poi riprende il cammino. Non cerca la rivelazione, il colpo di tacco e il virtuosismo non rientrano nei suoi interessi. Belpoliti predilige l’intuizione, quello scarto minimo che possa lasciare l’impressione di un distacco dal presente. L’idea è quella di tracciare una linea a mano libera e poi coglierne le incertezze.
Il presente appare oggi un tempo troppo caotico e troppo piatto per essere realmente interpretato. Un tempo inadatto per farci sopra un discorso e per inventarci infine un gioco che diverta per davvero. Il passato invece, quello stretto prima ancora che remoto, l’appena accaduto, diviene il terreno ideale per Belpoliti per dare corpo a un dialogo che ha preso inizio nel predente volume Pianura e che ora prosegue in Nord Nord (due parti di una trilogia ancora incompiuta). Un discorso interiore che diviene pubblico con un indefinito quanto realissimo Tu, un seconda persona singolare disponibile all’ascolto.
I ricordi per Belpoliti hanno forma di sostanza viva, non pretendono di assolvere a una verità, ma di offrire terreno adatto per fare vivere l’esistente, il contemporaneo. Divengono così una forma di nuovo presente che aleggia sulla testa di chi attraversando strade e di città ha ancora la pazienza di vedere chi ha abitato certi palazzi, chi vi ha lavorato chi vi ha sofferto e chi vi ha trovato rifugio. Il Nord dunque non esiste, ma vive come un ricordo che si rigenera giorno dopo giorno, restando vivido e attuale. Quel doppio, Nord Nord, suggerimento di Ernesto Franco, induce ora a uno scuotimento: svegliarsi dal torpore del presente per mettersi in cammino portando con sé il senso di un luogo e dei suoi abitanti.
Nord Nord si apre con una casa, una vecchia cascina immersa nella campagna lecchese. Un colpo di fulmine che come spesso avviene si trasforma in una necessità vitale, un rifugio, ma anche un modo per non stare fermi, per non isolarsi a Milano, città più attraversata che abitata, soprattutto nell’ultimo ventennio. Luogo delle così definite bolle da cui è difficile uscire. Una prigione in cui tutte le porte restano sempre aperte e in cui ogni richiesta ha una risposta sempre affermativa. Milano è una sorta di ultracontemporaneo non luogo, più città asiatica che europea. Luogo di una solidarietà civile borghese un tempo concreta e reale che ora si è tramutato nella città simbolo delle diseguaglianze. Qui il disagio è frutto di un eccesso di agio, condanna di ogni curiosità obliqua, negazione di un passato che proprio sull’obliquità e sui margini seppe conquistare un’originalità culturale assoluta.
Belpoliti sfugge da questa dinamica ritrovando in una forma di solitudine la sua forma libertà. Una giusta distanza che si palesa in un recupero e in una rigenerazione che prima ancora che restaurare la cascina la svela. Non una copertura che occluda, ma una messa in mostra di un passato contadino, di una funzionalità che ora si libera divenendo luogo della mente, biblioteca e archivio, magazzino e tana di un intellettuale. Un tentativo estremo, quasi disperato di salvare una struttura: dalla casa alla mente. Un Novecento a cui Belpoliti prima ancora che aggrapparsi proviene, portandolo, magari fuori tempo massimo, in una contemporaneità che non può che nutrirsi di quel passato che ancora oggi è vissuto con rimpianto e nostalgia.
Ripulire il Novecento da quella patina è fondamentale per comprendere il contemporaneo, e a questo esercizio si dedica Belpoliti anche in quel movimento apparentemente contraddittorio di rigenerazione e ristrutturazione che si alterna al ricordo e alla memoria. La cascina è il punto così di partenza, ma anche di arrivo, il tentativo di fare casa di un emigrante, nato a Reggio Emilia, cresciuto a Bologna alla scuola del Settantasette, tra Gianni Celati, Piero Camporesi e Umberto Eco.
Nord Nord è in fondo l’autobiografia di un movimento lento (lavorare con lentezza si diceva) che portò al centro Milano come città della realizzazione, non della maturità, ma di una consapevolezza giovane ed eccentrica. Scrittori, architetti, designers, fotografi. Belpoliti restituisce quel movimento preciso che non fu legato all’ambizione o al successo che afferivano invece al caso, ma al desiderio e alla sua capacità di farlo compiere. Costruisce una mappa per poi smentirla, da visione di un centro e di una periferia, ma poi raccoglie indizi là dove è possibile ritrovarli nella loro più improbabile casualità. L’affinità non nasce da un inseguimento, ma da una placida ossessione.
Si avverte qualcosa di bambinesco nel tentativo di Belpoliti di comporre gli elementi di una mappa. Il desiderio di un disegno che possa contenere e contemplare e forse giustificare un tempo che sfugge inesorabilmente. In un certa forma di saggezza a tratti ostentata, in una forma di calma tesa, la voce narrante ricorda a tratti alcuni personaggi di Michelangelo Antonioni a cui tutto capita per bassa tensione, in attesa sempre di capire se sia stato un desiderio o un gesto totalmente privo di significato a produrre un incontro o un accadimento. La casualità si mischia alla curiosità dando forma a storie e a racconti tra il labile e il nebbioso, un po’ per incertezza e un po’ per non per non tradire quella pianura da cui Belpoliti proviene.
Milano diviene così il centro di un’estesa provincia che contiene un mondo imprevisto, fatto di figure eclettiche, geniali e al tempo stesso ovviamente profondamente provinciali. Milano non è mai una meta o un punto d’arrivo per chi vive a Varese come a Bergamo, a Sondrio come a Brescia, luoghi industriosi il cui orizzonte si staglia direttamente nel mondo e che vedono Milano come un strumento, un porto d’interscambio, ma nulla più.
La Capitale del nord o forse sarebbe meglio dire del nord nord è invece il filtro, il punto di ristoro per chi proviene dal centro come dal sud, luoghi che a differenza del nord esistono con estrema precisione. Come succede per due siculi come Ferdinando Scianna e Vincenzo Consolo, la cui traiettoria milanese contiene due verità opposte. Quella di una città inclusiva per Scianna, in cui è possibile permanere senza alcuna ostinazione, ma con una rassicurante calma tutta siciliana. E poi quella di una città ostinatamente padana per Vincenzo Consolo, che negli anni trova totalmente irricevibile anche a causa dell’elezione a sindaco del leghista Marco Formentini.
Il milanese è dunque colui che sa restare siciliano come reggiano, piemontese come napoletano, dando corpo a frammenti che si accomodano per giustapposizione. Il lavoro è ovviamente la centralità del tutto e in un certo tempo fu anche un passe-partout per genialità e innovazione mentre oggi offre solo una forma arcaica di capitalismo a carattere amicale: una bolla dentro alla quale stare senza colpo ferire e soprattutto senza magari farsi troppo ferire. Nord Nord non è ovviamente solo Milano, ma entrambi vivono all’interno di un’assenza e di un vuoto che obbligano al rifugio, come può esserlo una vecchia cascina tra una camminata lenta e uno sguardo curioso.