ARTICOLO n. 25 / 2022
VITA DI UNO SCRITTORE
Traduzione di Giulia De Florio, Alice Farina e Elena Freda Piredda
24 marzo (5 aprile) 1870, Dresda
Mi affretto a informarvi, stimatissimo Nikolaj Nikolaevič, prima di tutto su di me. Ve lo dico con sincerità e senza possibilità di replica che, avendo fatto tutti i conti, non riesco proprio e non oso promettere un romanzo per i fascicoli di quest’autunno. Mi sa che è davvero impossibile; e chiederei anche alla redazione di non mettermi pressione con il lavoro, che voglio fare con tutti i crismi e mettendocela tutta – proprio come fanno i signori (quelli importanti). Al contempo rispondo che ce la farò per gennaio dell’anno prossimo. Questo mio lavoro mi è più caro di qualsiasi cosa. È una delle idee a cui tengo di più e vorrei dare il meglio.Ora, in questo frangente, sto facendo una cosa per Russkij vestnik, finirò presto. Ho ancora debiti considerevoli con loro. Se, trovandomi in estrema necessità, dovessi rivolgermi ora a Katkov, descrivendogli ogni cosa, va da sé che anche il mio prossimo lavoro dovrà essere suo. Vi spiego tutto con la massima sincerità (ripongo buone speranze sull’opera che sto scrivendo ora per Russkij vestnik, non dal lato artistico, ma per la tendenza; voglio esprimere certe idee, a rischio di uccidere il mio valore artistico. Ma quanto ho raccolto nella mente e nel cuore mi appassiona; se anche ne verrà fuori un pamphlet voglio comunque dire la mia. Spero che abbia successo. In fondo, chi mai si mette a scrivere senza sperare di avere successo?).
Ora Vi ripeto quello che dicevo anche prima: sempre, per tutta la vita, ho lavorato per chi mi dava soldi in anticipo. È sempre successo così e mai altrimenti. Dal punto di vista economico va male, ma che ci posso fare! In compenso, quando ricevevo un anticipo vendevo sempre qualcosa che avevo per le mani, cioè la vendevo soltanto quando l’idea poetica era già nata e per quanto possibile maturata. Non ho mai preso soldi in anticipo partendo da zero, sperando cioè entro un termine stabilito di inventarmi e scrivere un romanzo. C’è una bella differenza, io penso. Ora anche con il lavoro voglio stare tranquillo. Presto finirò con Russkij vestnik e mi dedicherò con passione al romanzo. L’idea di questo romanzo esiste già da tre anni, ma prima avevo paura di metterci mano stando all’estero, volevo essere in Russia per farlo. Ma in tre anni tante cose sono maturate, il piano intero del romanzo, e per la prima sezione (cioè quella che riservo a Zarja) penso di poter cominciare anche qui, visto che l’azione inizia molti anni fa. Non Vi preoccupate se parlo della «prima sezione». È un’idea che esige grandi dimensioni, almeno della stessa lunghezza del romanzo di Tolstoj.[2] Ma sarà composto da 5 romanzi a se stanti, a tal punto indipendenti che alcuni di essi (esclusi i due centrali) potranno comparire persino in riviste diverse, come fossero racconti slegati o pubblicati separatamente, come opere in sé compiute. Il titolo indicativo intanto è: Vita di un grande peccatore, ogni sezione invece avrà un titolo specifico. Ciascuna sezione (cioè romanzo) non sarà più lunga di 15 fogli. Per il secondo romanzo devo essere in Russia; l’azione nel secondo si svolgerà in un monastero e anche se conosco alla perfezione i monasteri russi, voglio comunque essere in Russia. Ho una voglia incredibile di parlarne in modo approfondito con Voi; che cosa si riesce a esprimere per lettera? Lo ripeto ancora: non posso fare promesse per quest’anno; se non mi mettete fretta riceverete una cosa fatta con giudizio, forse anche bella. (Perlomeno, di questa idea ho fatto lo scopo della mia futura carriera letteraria, non potendo contare di vivere e scrivere per più di 6 o 7 anni.) Zarja non se la deve prendere perché mi dà i soldi con nove mesi di anticipo: in qualche caso li ho ricevuti anche due anni in avanti. Chi non semina non raccoglie e Voi sapete con esattezza, Nikolaj Nikolaevič, che non lo dico per fare polemica, ma perché queste sono sempre state le circostanze. E in fondo non si tratta di grandi somme. Se invece mi rivolgo ad altri, anche il mio lavoro, naturalmente, deve appartenere a loro. Sono sempre stato un letterato onesto. Sono io ad aver sempre desiderato di lavorare per Zarja perché la loro linea editoriale mi va a genio. È tutto, per quanto mi riguarda. Vi chiedo soltanto una cosa seriamente, Nikolaj Nikolaevič: se la cosa è fattibile, fatemelo sapere subito, come fareste con un vecchio conoscente e collaboratore. Le mie necessità aumentano a tal punto che non ho tempo da perdere; devo saperlo con certezza. Ho una moglie e una bambina che dipendono da me e in più ho bisogno di tranquillità e assistenza. Kašpirëv dovrà pure decidersi, per un sì o per un no; almeno per saperlo, il tempo per me è prezioso. In questo caso anche un no sarebbe più utile di un sì in sospeso, almeno non perderei tempo.
Ho letto con enorme piacere il fascicolo di marzo di Zarja. Aspetto con ansia il seguito del Vostro articolo, per capirlo fino in fondo. Ho il sentore che vogliate presentare Herzen come un occidentalista e parlare dell’Occidente in contrapposizione alla Russia, è così? Avete centrato il punto con Herzen: il pessimismo. Giudicate però realmente i suoi dubbi (Chi è colpevole, Krupovecc.) irrisolvibili? Qui sembra che ci giriate intorno e, sembra a me, lo fate apposta per esprimere il Vostro pensiero principale. In ogni caso aspetto con terribile impazienza il seguito dell’articolo; l’argomento è così provocatorio e attuale. E che succederà quando dimostrerete che Herzen, prima di molti altri, aveva detto che l’Occidente sta marcendo? Cosa diranno gli occidentalisti dei tempi di Granovskij? Non so se ne parlerete, è soltanto una mia ipotesi. Tra l’altro (anche se non rientra nell’argomento del Vostro articolo), non è forse vero che c’è un altro punto nel definire e mettere in luce il nucleo essenziale dell’intera opera di Herzen – ovverosia, che egli è stato, sempre e comunque, in prevalenza un poeta? Il poeta in lui prende il sopravvento, dappertutto e in ogni cosa, in tutta la sua attività. Quando fa propaganda è poeta, quando è figura politica è poeta, quando è socialista è poeta in sommo grado, e quando fa il filosofo! Questo tratto del suo essere, a mio avviso, può spiegare molto del suo fare artistico, persino la sua leggerezza e la tendenza al calembour nelle più alte questioni morali e filosofiche (che, per inciso, è una cosa molto antipatica).
Avete trattato la questione femminile (di febbraio), a mio parere, in maniera eccellente. Rispondo però alla Vostra domanda: perché ho riscontrato in Zarja il difetto della presunzione? Forse non mi sono espresso bene, ma il punto è: siete troppo, troppo morbido. Per loro bisogna scrivere con la frusta in mano. In molti casi siete troppo intelligente per loro. Se li aveste attaccati con più veemenza e maleducazione sarebbe stato meglio. I nichilisti e gli occidentalisti esigono la frustata definitiva. Nei primi articoli su Tolstoj è come se li pregaste di darvi ragione, mentre negli ultimi sembrate cadere preda dello sconforto e della delusione proprio nel momento in cui, secondo me, il tono dovrebbe essere solenne e festante fino a sfiorare l’insolenza: ma che cosa credete, che capiscano davvero la Vostra sottile e brillante ironia nelle lettere di Kosica? Quando ho letto della signora Konradi che imita Pisarev o quando pregate il Vostro corrispondente dopo che, con Vostra grande sorpresa, sentite di non potervi ritenere né uno scemo né una carogna e in quel preciso istante mettete le mani avanti quasi aveste paura: «Vi prego di non fraintendermi», be’ io lì ho riso, ma davvero pensate che loro comprendano un tono simile? Per farla breve – non scrivere in quel modo per Voi è impossibile; è serietà, amore e deferenza alla causa. Ora la rivista ha un suo tono ed è un tono elevato, il che va benissimo e costituisce l’essenza di Zarja; ma, a volte, secondo me, bisogna abbassare il tono, prendere la frusta in mano e non stare sulla difensiva, ma attaccare, in modo molto più smaccato. Ecco che cosa intendevo con «presunzione». D’altro canto, può essere che giudichi in modo errato perché mi scaldo.
Ci sono due frasi su Tolstoj su cui non sono affatto d’accordo: quando dite che è pari a tutto ciò che c’è di sommo nella nostra letteratura. È inammissibile dire una cosa del genere! Puškin, Lomonosov sono dei geni. Entrare in scena con Il negro di Pietro il Grande e con Belkin significa comparire decisamente con una parola nuova geniale, che fino a quel momento non era stata detta mai e in nessun luogo. Arrivare invece con Guerra e pace significa comparire dopo quella parola nuova, già detta da Puškin, ed è così e basta, al di là di quanto sia andato lontano e in alto Tolstoj a sviluppare quella parola nuova, già detta la prima volta, prima di lui, da un genio. Secondo me è molto importante. Ma del resto non riesco a spiegare tutto in poche righe.
Possibile che Miljukov si stia spingendo così in là? E che cosa sta facendo adesso?
Perdonatemi, il romanzo di Čaev, Forze nascoste, mi è piaciuto molto; c’è molta poesia e per ora è scritto bene. Perché ve lo siete lasciato scappare? La suocera è un’opera più severa, però non è un romanzo, né tantomeno poesia (io comunque giudico dall’ottica della piazza, che è essenziale quando si parla di abbonati).
Anna Gregor’evna Vi porge i suoi omaggi. Ah, se tornassimo presto a casa, Nikolaj Nikolaevič, se capitasse presto!
Tutto Vostro F. Dostoevskij.
P.S. Ripeto, attendo da Voi il prima possibile, come da un buon vecchio conoscente, notizie sul mio conto. I soldi mi servono come non mai; sarebbe buona cosa che Kašpirëv non tardasse a mandarli se dice di sì. Continuo a dimenticarmi di chiedervi: davvero il libro di Danilevskij La Russia e l’Europa non uscirà in volume? Ma com’è possibile? Santo cielo, non dimenticatevi di informarmi a riguardo.
© il Saggiatore, 2020