Enkk

ARTICOLO n. 4 / 2025

PARLIAMO DI STREAMING CULTURE

un dialogo con Elisa Teneggi

Enkk non lo sa bene, com’è che sia finito a essere tra i primi cinquanta profili Twitch più seguiti in Italia. Enrico Mensa, classe ’91, suo alter-ego nella vita reale, può dirci qualcosa di più. «La mia vita da streamer è iniziata – come spesso accade – un po’ a casaccio. Twitch ha cominciato a popolarsi più di dieci anni fa, all’inizio era una situazione più fluida di adesso e le cose “succedevano”. A me è successo che una volta mi sono fatto notare tra il pubblico di una live dello streamer Paolocannone [oggi @paoloidolo, al secolo Paolo Marcucci, ndr] come “uno bravo a smanettare con il computer”. Questa frase si legge “patito di informatica”, e infatti ancora oggi faccio il ricercatore universitario in questo campo. Comunque, sta di fatto che divento una occasionale spalla, ovvero il secondo delle live, oltre che co-autore di alcuni format di Paolo. Così comincio a conoscere l’ambiente e un altro po’ di streamer. Se, pensandoci ora, dovessi individuare il mio momento di svolta come streamer, direi sicuramente il momento in cui ho incontrato Homyatol, altro collega. Stava cominciando il lockdown per il Covid e siamo diventati una coppia di fatto dell’intrattenimento. Svolgevo il ruolo di spalla nelle sue dirette: eravamo in live tutti i giorni con numeri mai visti per quattro-cinque anni fa. Lì è cominciato tutto. Ma c’è un problema sostanziale: se sei una brava spalla, se vedi che il pubblico ti apprezza, a un certo punto vorrai anche avere uno spazio tutto tuo. Un tuo canale con i tuoi tempi, i tuoi contenuti e la tua community. Infatti alla fine anche io mi sono messo in proprio».

Enkk è uno streamer, ovvero un content creator per un genere particolare di piattaforme, che permettono di generare contenuti solo se trasmessi in diretta. Come per un comune programma televisivo, gli utenti della piattaforma possono seguire la trasmissione, detta anche live stream, e possono farlo attivamente o passivamente. Chi è passivo guarda e rimugina, chi è attivo, invece, anima un’apposita chat legata alla trasmissione, creando una community istantanea e virtualmente irripetibile.

Fondato nel 2011 da Emmet Shear e Justin Kan come punto di ritrovo per la comunità legata ai videogiochi, Twitch è diventato in poco più di una decade il riferimento mondiale per la galassia degli streamer cresciuta su YouTube, inglobando anche chi, con i videogiochi, non aveva a che fare. A dimostrazione del suo successo, dal 2014 è controllato da Amazon, che acquistò la piattaforma per 970 milioni di dollari. Sbirciando i numeri, non è difficile comprenderne il motivo: solo negli Stati Uniti (secondo dati recenti di Statista, 2023) il numero di utenti attivi sarebbe 33,2 milioni. Nel mondo, invece, sono 5,71 miliardi le ore passate su Twitch, e solo nel Q3 (terzo quadrimestre) del 2022. In totale, nel 2022 sono stati passati su Twitch 1.35 trilioni di minuti, più del doppio del totale dei minuti trascorsi su YouTube Gaming Live e Facebook Gaming. Secondo Business of Apps, tutto ciò si concretizzerebbe in 2.8 miliardi di dollari di entrate per la piattaforma (dati aggiornati al 2022), il cui business model si fonda sugli abbonamenti (in gergo subs, forma breve dell’inglese subscriptions) che gli utenti attivano verso specifici streamer e i loro “canali” per sbloccare contenuti aggiuntivi: una parte di quanto pagato rimane allo streamer, un’altra parte è trattenuta dalla piattaforma come percentuale. Per esempio, su ogni abbonamento la percentuale trattenuta è del 50% (a cui lo streamer dovrà poi sottrarre gli oneri fiscali derivati dalla necessità di fatturare a partita iva), mentre, se un utente dovesse effettuare una donazione allo streamer, Twitch non tratterrebbe alcuna percentuale.

Poste le fondamenta per la chiacchierata, torniamo da Enkk, o meglio, da Enrico, per risolvere il dubbio che ormai, forse, vi sarà spuntato: ma perché un ricercatore universitario dovrebbe mettersi a fare lo streamer su una piattaforma nata nel mondo dei videogiochi? Innanzitutto, cerchiamo di capire che cosa “succede”, effettivamente, su Twitch.

«Nella mia visione ci sono due tipi principali di streamer: variety streamer, o streamer che si legano a un videogioco specifico». Per quest’ultimo, un esempio dal panorama italiano è Cristiano Spadaccini, in arte @ZanoXVII, che ha costruito il suo seguito – la sua “community” – attorno ai game play del celebre emulatore a tema calcistico FIFA. E, quando si parla di game play, si parla di ore di gioco trasmesse in diretta come contenuto della live. Si può dunque supporre che l’audience sia composta di un segmento specifico della galassia online: in questo caso, utenti Twitch appassionati di calcio e/o di FIFA. Enkk, invece, si situa nell’alveo dei variety streamer.

«Essere legati a un videogioco ha i suoi vantaggi dal punto di vista di “progettazione” delle live: il tuo contenuto ce l’hai già e devi solo iniziare a trasmettere. Naturalmente c’è lo svantaggio di essere in balia del successo del gioco a cui si è legati. Essere un variety streamer, invece, impone delle sfide diverse. Per fare “varietà” devi sempre trovare qualcosa da fare di diverso, ogni live. Bisogna mettere maggiormente in gioco la propria personalità, il che non vuol dire crearsi un personaggio: una diretta, almeno una delle mie, può durare anche 8 o 10 ore, ed è impossibile fingere stando davanti a una telecamera per quel tempo. In tutto questo, certo, anche un variety streamer ha bisogno della sua nicchia. Io mi presento come canale di edutaniment [crasi tra le parole inglesi education ed entertainment, istruzione e intrattenimento, ndr]: in altre parole, cerco non solo di intrattenere il pubblico, ma anche di spiegare qualcosa dell’ambito di cui mi occupo. Che, nello specifico, è il rapporto tra Intelligenza Artificiale e linguaggio naturale. Poi trasmetto solo nel weekend, con live più lunghe della media. Sembra di tirarsi la zappa sui piedi da soli, invece intercetto tutta una fetta di pubblico che nel fine settimana ama rilassarsi e non andare a cercare per forza “lo sballo”. Che forse è un po’ come me. Vedi, le community sono come i gatti: scelgono a chi affezionarsi, e si lavano da sole. Che è un modo bizzarro per dire che se non ti piace l’offerta di un canale, te ne vai senza far drammi».

Mensa usa una parola, “dramma”, tristemente noto nelle community online. A volte, infatti, le chat pubbliche o private diventano il luogo perfetto per sviluppare l’odio online e foraggiare gli hater, leoni da tastiera di tutte le età le cui parole possono avere conseguenze anche molto pesanti. «Lo streaming si trova in un contesto del tutto particolare: gli streamer sono tendenzialmente professionisti che vanno in live per svariate ore a settimana, e non ci sono studi scientifici che possano mostrare se questo stile di vita può avere delle ricadute sulla loro salute fisica e mentale. È normale che non ci siano, perché è un fenomeno giovane, che peraltro è esploso con la pandemia, quindi si parla di storia recente. C’è anche un altro lato della questione, ovvero che, un po’ come gli sportivi professionisti, anche uno streamer prima o poi si ritira in panchina. Non perché ci siano stigmi sull’età, semplicemente non ti piace più, dopo un po’ esaurisci le energie per mantenere quel tipo di routine. Oppure ti devi evolvere, e far evolvere la tua community insieme a te. Uno che ce l’ha fatta bene è Jacopo D’Alesio, Jakidale, che è uno Youtuber passato dai gameplay di Clash of Clans [ gioco per smartphone, ndr] a  intervistare personaggi del calibro di Tim Cook. Ma la cosa ancora più importante è che questa crescita avvenga spontaneamente, organicamente. Alla fine, essere un creator è un po’ come manifestare la propria seconda personalità».

Anche a Mensa succede: Enkk è l’istrione che ha bisogno di sentirsi al centro del palco, Enrico il ragazzo che va a bere la birra con gli amici e che riesce – nella maggior parte dei casi – a tenere il lavoro fuori dai momenti di svago. Che, nel suo caso, significa anche non parlare di Twitch. «Streammare è sicuramente una fonte di guadagno importante per me, ma il guadagno non è la ragione per cui sono un creator. Come persona mi sento arricchito da entrambi gli aspetti della mia esperienza, anche perché l’uno tiene a bada la “fama” che si genera nell’altro e viceversa. E sfatiamo un mito: non è vero che “chiunque ce la può fare” su Twitch. Questa roba da sogno americano non funziona. A farcela sono in pochissimi, e per guadagnare cifre importanti bisogna avere tantissima cura della propria figura pubblica e del proprio lavoro. E anche un po’ di fortuna. Spesso chi ha meno a che fare con l’online vede gli streamer come sfaticati, persone senza qualità che sono diventati famosi senza essere nessuno. È una dinamica normale, purtroppo. Soprattutto quando la società non sta benissimo, tendiamo a puntare il dito contro chi sta meglio di noi. Anche la politica spesso si pone verso l’online con atteggiamento giudicante, pensiamo al tristissimo episodio dell’incidente in auto avvenuto durante la diretta di un gruppo di streamer a bordo di una Lamborghini. Per fare la voce grossa si fa sempre il solito errore: si dà la colpa al mezzo, e non a chi l’usato malamente. Cioè sia Twitch, sia la Lamborghini».

Dunque, ripetiamolo: le community di Twitch sono come i gatti. Abbiate rispetto dei vostri utenti, e nessuno si farà male. A proposito: ma ora in università Enrico Mensa è assalito dai fan? «Qualche studente è anche un follower. Ne sono felice, anche se i due ambienti rimangono giustamente separati.. Nel tempo ho ricevuto tanti feedback che mi rendono orgoglioso di quello che faccio: da persone che si sono appassionate all’informatica e ora lavorano in quel campo, altri che hanno ritrovato lo stimolo giusto per proseguire i loro studi e altri ancora che hanno scoperto di doversi far circoncidere. Ma questa è un’altra storia, e rimando ai contenuti creati con il Dottor Giuseppe La Pera per maggiori approfondimenti. Anche questo lo trovate tutto nelle mie live».