Edith Joyce

ARTICOLO n. 12 / 2025

DALL’EDIPO AL FRATERNO

"intermezzo" di Sally rooney

Qualche volta i padri devono essere uccisi, altre volte muoiono e basta. Del resto, senza la morte dei padri, ingombranti e autoritari, o potenti solo nell’immaginario edipico, non ci sono società né storie. È proprio con la morte di un padre che inizia l’ultimo romanzo di Sally Rooney, Intermezzo. Una morte anticipata, ma non per questo gentile. Una morte dolorosa, un cancro, ma senza tragedia, come solo la morte di chi, nell’ordine naturale delle cose, è destinato a morire per primo può esserlo. Un padre dai contorni sfumati, conservato in pochi ricordi, quasi forcluso, certamente non edipico, ricordato appena in poche pagine. Così come dev’essere, perché questa storia non è una storia di padri, ma è una storia di fratelli.

La morte di un padre edipico, del resto, sarebbe stata troppo ingombrante. Una morte anticipata, invece, permette a Sally Rooney di esplorare non tanto le conseguenze psichiche della morte di un padre sui figli, ma l’intreccio complesso del legame fraterno: tutto quello che nel mondo interno di Peter e Ivan mantiene, spezza, mette in discussione o ricostruisce tale legame. Eppure, cos’è un fratello? Due fratelli, anche biologici, non hanno mai davvero gli stessi genitori. In primo luogo, perché nessuno è la stessa persona che era qualche minuto prima, ma soprattutto perché ognuno costruisce dentro di sé nient’altro che un’immagine del proprio padre, della propria madre e di tutte le altre figure significative che incontra nel corso della propria vita. È l’immagine, la sua rappresentazione, e non il genitore di carne, a orientare il nostro muoverci nel mondo. Un genitore non è arrogante o depresso, è un genitore che abbiamo vissuto come arrogante o depresso. La nascita di un fratello in una famiglia complessifica ancora di più la costruzione delle immagini interne e apre scenari pulsionali nuovi: nasce il vissuto depressivo, nel fratello maggiore, per la perdita della supremazia, concorrono l’odio, la rivalità o l’alleanza, il rancore o il debito di riconoscenza, e spesso la lotta spietata e di posizione per mantenere l’amore esclusivo dei genitori.

Ma ogni guerra finisce e ognuno si prende il ruolo che gli sta bene addosso, vincitore o sconfitto. Ivan, giocatore di scacchi, forse sconfitto nel gioco familiare, trova l’affetto tra le braccia di una donna molto più grande di lui, chiedendosi se è così che ci sente «quando si ottiene quello che si vuole, desiderare e allo stesso tempo avere, desiderando ancora, ma appagati». Ivan è il fratello minore che parla come uno che il piacere e il desiderio non li ha conosciuti mai, troppo impegnato a spodestare Peter, avvocato di successo, dalla posizione esclusiva di essere il fallo della madre, oppure usarlo come doppio narcisistico sul quale deflettere l’odio verso i genitori. Ma non c’è crescita o individuazione in questa guerra di posizione: il compito di vita del bambino è quello di elaborare il proprio odio e rappresentarsi come terzo, diverso dai genitori, diverso dai fratelli.

In altre parole, un bambino che cresce ha solo un compito evolutivo fondamentale: diventare chi è, soggettivarsi. C’è un simbolismo delicato e tenero in Intermezzo. Alexei, il cane di famiglia, racchiude in sé molto bene il processo di soggettivazione. Alexei, il piccolo whippet, è il nodo da sbrogliare: e adesso che è morto nostro padre, come si fa? Chi se lo prende? Chi sei tu, chi sono io, chi siamo insieme e come ci comportiamo uno verso l’altro? Come facciamo a redistribuire le nostre responsabilità? La morte del padre è una crisi che spezza la coazione a ripetere: fino a oggi, nella costellazione familiare, avevamo queste posizioni e ci muovevamo in questo modo. Come i pezzi degli scacchi, alfiere, cavallo, torre o pedone, seguivamo delle regole non dette. Ora che nostro padre non c’è più a chi tocca muovere per primo? Che mossa farai? Del resto, l’intermezzo non è che una mossa inaspettata. L’Intermezzo è, quindi, proprio la morte del padre. Cosa viene dopo? Una cena, goffa e maldestra, un tentativo di riavvicinamento, un dinego del cambiamento al fine di ripristinare l’equilibrio (tossico e precario, ma comunque equilibrio) che c’era prima.

È una mossa deludente: Peter giudica severamente la relazione del fratello con Margaret, una donna matura, troppo più grande di lui. Eppure, allo stesso tempo, Peter frequenta Naomi, molto, forse troppo, più giovane di lui. Peter giudica il fratello perché, in realtà, sta giudicando sé stesso? Credo che sia una proiezione fin troppo banale. Piuttosto, pensiamo alla scelta del partner: non ci si innamora mai per caso e la scelta del proprio oggetto d’amore ha molto a che fare con il complesso fraterno.

Il complesso fraterno, inteso come l’incontro tra i mondi interni dei fratelli in relazione tra loro, i giochi di alleanze, nelle loro dinamiche consce e inconsce, è determinante per la scelta d’amore oggettuale. In altre parole, non sono solo le relazioni con i genitori e le dinamiche del complesso edipico a determinare di chi ci innamoriamo e vogliamo accanto: anche il complesso fraterno gioca un ruolo fondamentale. Ivan, nella scelta di una donna più grande, cerca la via verso un oggetto d’amore perduto, il fratello maggiore. Peter, allo stesso modo, nella scelta di Naomi, che ha proprio la stessa età di Ivan, cerca il fratello minore. L’inconscio ripara dalla consapevolezza di dinamiche dolorose e propone equilibri sottili. Peter, nel rimprovero, ha bisogno di continuare a incastrare Ivan nel ruolo di fratello minore, non ancora adulto, incapace di prendersi le proprie responsabilità. Se con la morte di un padre i ruoli vacillano, trema l’ordine, e resta un trono da occupare o lasciare vuoto.

La vita è sempre un tentativo di ripristinare un equilibrio. Se Peter ha bisogno di cristallizzare il ruolo del fratello, Ivan fa lo stesso. È lui a cercare un’apertura verso Peter, un fratello che conosce come emotivamente indisponibile; eppure, cerca una guida da parte sua, perché è questo che si chiede ai fratelli maggiori. È il paradosso delle relazioni intersoggettive: cerchiamo negli altri quello di cui abbiamo bisogno e non quello che possono darci. Ivan e Peter si cuciono addosso vestiti che non sono di misura. Intermezzo resta, in ogni caso, una storia di uomini, scritta da una donna, ma una storia di uomini. La prima, forse, di Sally Rooney. La comprensione del femminile resta oscura: il dolore cronico di Sylvia che le impedisce una vita sessuale lascia troppi interrogativi. Del resto, questo è quello che ci raccontano Peter e Ivan: un’esperienza femminile vista dagli occhi di un uomo resta, chissà per quale ragione, così confusa. Il femminile è il grande assente del romanzo. Le donne non sembrano altro che funzioni simboliche nella vita dei fratelli, che li aiutano ad allontanarsi, a ritrovarsi, a guardarsi dentro e fuori, a cristallizzare i conflitti o a scioglierli. Tanta, forse troppa, pedagogia emozionale erogata gratuitamente da Margaret e da Sylvia.

C’è un’eccezione, credo, ed è la madre dei due fratelli. È l’unico personaggio femminile dotato di un contorno tutto proprio: un’entità a sé e non una funzione nella vita dei suoi figli. Nel suo disinteresse per le sorti di Alexei, il cane di famiglia – povera bestia, sì – la madre di Peter e Ivan fa il gesto più potente del romanzo. La madre, alla morte del marito, incarna la legge paterna e ne assolve la funzione: del cane, del vostro irrisolto, di chi si prenderà cura di chi e come, non è affare mio. È una madre che, con fermezza, assolve alla funzione paterna di limite e confine: questa è cosa vostra e non posso farmene carico. È una storia di fratelli e sono i fratelli a doverla sbrogliare.