ARTICOLO n. 59 / 2024
MEDITAZIONE
le parole del futuro
Quali parole – volenti e nolenti – ci porteremo nel futuro? Che significato hanno oggi e assumeranno domani per noi e per il mondo in cui siamo immersi? Nelle prossime settimane daremo forma a un vero e proprio lemmario con cui indagare il significato e il senso di termini ritenuti centrali dalle autrici e dagli autori coinvolti.
La parola del futuro è la parola che non ci sarà mai nel futuro: è la parola meditazione. La parola meditazione è la parola che non ci sarà mai, o che ci sarà sempre di più, ma stravolta, contorta, scaraventata giù, sotto un dirupo, la parola fatta bandiera, esposta come vessillo in ogni angolo della città, confusa, usata come slogan, perennemente fraintesa.
La parola del futuro che auspico è la parola senza parole, la parola in cui scompare la parola, la parola che prende una parola e la porta via, la fa cadere giù, non si vede più niente, non si sente più niente, neanche la parola, neanche il vuoto.
La parola del futuro deve essere la parola meditazione, e non lo sarà. Deve essere la parola che se ne va, la parola che sta per un attimo in silenzio. La parola che se ne sta in silenzio per una vita intera e anche di più.
«Yoga Chitta Vritti Nirodha» scrive Patanjali, e significa che lo yoga estingue le modificazioni mentali. E allora voglio immaginare un futuro che non ci sarà, un futuro senza parole, in cui cadiamo, tutti insieme, in uno spazio vuoto luminoso.
Un futuro dove stare proprio tutti lì, in quello spazio vuoto luminoso, insieme, a respirare insieme, ogni respiro è un respiro che non ho mai respirato, e quindi a co-spirare insieme, un futuro dove cospirare tutti insieme, uno dopo l’altro, un futuro senza vritti.
Ho scritto a un amico che ero felice, e che lo ero in quel preciso istante, e lui mi ha risposto che sto diventando un prete, e io gli ho chiesto da quando la felicità è di proprietà della religione cattolica, e poi ho scritto che se è così non si può che essere preti, preti per sempre, andare incontro alla felicità, andare incontro al mondo, essere intramati di mondo.
Sei troppo spirituale, parlami della tua svolta mistica, mi hanno detto, sei diventato buddista, hanno detto ancora, e ho detto che non ho detto niente, che c’è il silenzio, che la parola del futuro non è il silenzio, è dentro il silenzio, la parola del futuro non è neanche più tra gli spazi bianchi, tra una lettera e l’altra, la parola del futuro è tutto uno spazio bianco, uno spazio vuoto luminoso.
E mi hanno detto ancora sei sufista, da quando segui il sufismo sei diverso, e hanno detto ancora che hanno detto ancora che sono meno mondano, non sei mai stato mondano, mi hanno detto, ma così è troppo, così stai esagerando, sei anche dimagrito, avrai perso quindici chili hanno detto, abbiamo detto, ho detto.
Mi hanno detto che con il lavoro che fai dovresti tessere più relazioni, potresti conoscere il mondo intero, invece tu…
Mi hanno detto che con il lavoro che fai puoi farti tanti amici, che ti saranno utili, eppure tu non lo sai fare, mi hanno detto che si fanno anche tanti nemici.
La parola del futuro, allora, è benevolenza, la pratica di metta bhavana, spargere amore nel mondo, spargere amore a chi ti odia, a chi hai odiato, dare amore a chi non lo saprà mai, eroso da ciò che siamo, non ti nutrire di invidia e gelosia, ma anche sii consapevole di invidia e gelosia, lasciale andare, non sei tu a essere geloso, è la gelosia che passa, è lei che passa di qua, salutala e falla andare.
Ecco, la parola del futuro è meditazione cioè meditare cioè medicare, cioè respirare, cioè co-spirare, cioè cospirare insieme, in uno spazio vuoto luminoso.
Eccola questa parola, la parola “meditazione”, anche lei vilipesa come tutte le parole, frullata dagli algoritmi, impacchettata e spedita da Amazon Prime in sole 24 ore, la parola che si porta dietro mondi immensi, la parola che è fuori dalla parola, l’unica parola che è fuori dalla parola, ma è dentro TikTok, è dentro Instagram, la parola che viene usata come un’Aspirina, marchio registrato.
Eccola, la parola che viene bombardata giorno dopo giorno, ora dopo ora, la parola che viene uccisa negli ospedali pediatrici bombardati, la parola che si è nascosta nell’oblio delle guerre dimenticate, dell’invasione cinese del Tibet e in infinite altre guerre, negli imperi che vogliono mangiarsi le religioni, negli imperi che vogliono mangiarsi le meditazioni.
Mi hanno detto Sei diventato troppo idealista, pensi ancora a quello che succede nel mondo, mi hanno detto che non si può empatizzare con chi è così lontano da te, mi hanno detto che non puoi piangere per una donna nera morta ammazzata perché non sei donna e non sei nera, mi hanno detto che è facile piangere dalla mia posizione, mi hanno detto che non puoi piangere perché non sei morta, solo i morti devono piangere, mi hanno detto, i vivi devono solo soffrire.
Mi hanno detto che quello che scrivo non lo legge nessuno, che non si capisce come mai non metto a frutto le relazioni, mi hanno detto che proprio non lo so fare, mi hanno detto che non si sa perché non mi interessa, che se hai un ruolo di potere, mi hanno detto, lo devi sfruttare, mi hanno detto che è tutta una questione di essere presenti.
Mi hanno detto che bisogna esserci, e non si sa perché io non ci sono, non sono mai dove dovrei essere, mi hanno detto, non vado alle cene.
Mi hanno detto che vado a dormire troppo presto.
Mi hanno detto che sono diventato taoista, mi hanno detto che però mi vesto come un prete, mi hanno detto che mi vesto queer, mi hanno detto che prima ero elegante e adesso sembro pazzo, mi hanno detto che attraverso la classica crisi di mezza età, è normale, a quarant’anni ci si intenerisce, ma non ti preoccupare, poi passa, mi hanno detto, poi si torna a fare quello che si deve fare, a essere come si deve essere, a non pensare a tutto il resto, a odiare chi ti odia, a sfidare chi ti sfida, a gareggiare, poi si torna a fare quello che bisogna fare, mi hanno detto che bisogna pensare al futuro, sì, al conto in banca, mi hanno detto che sì, ne ho passate tante, ed è per questo che sono in questo e quest’altro modo, mi hanno detto che da un po’ parlo troppo poco, che anno dopo anno i dialoghi con me sono sempre più monologhi degli altri, che un tempo parlavo tanto, ero simpatico, adesso voglio stare lì, ad ascoltare.
Mi hanno detto che la parola del futuro non sarà mai meditazione, saranno tutt’altre le parole del futuro, per esempio io, per esempio io, per esempio io-io-io, e poi c’è un’altra parola tutta nuova ma così antica, la parola algoritmo per eccellenza, la parola io-mio, io-mio, io-mio.
Io-mio sì che è una parola, altro che meditazione.
Una parola vera, una parola che non puoi fraintendere, reinterpretare, confondere.
E allora voglio immaginare un futuro che non ci sarà, un futuro senza parole, senza parole vere, senza parole false, un futuro in cui cadiamo, tutti insieme, in uno spazio vuoto luminoso.
Un futuro dove stare proprio tutti lì, in quello spazio vuoto luminoso, insieme, a respirare insieme, ogni respiro è un respiro che non ho mai respirato, e quindi a co-spirare insieme, un futuro dove cospirare tutti insieme.
Un futuro dove respirare, ed essere tutto ciò che c’è attorno, noi tutte, noi tutti.
Un futuro dove essere come alberi, come acque, come respiri, come montagne.
Un futuro dove essere le nuvole che volano via, sempre più in alto, poi si tuffano giù, per abbracciarci quando siamo sotto le lenzuola.
Un futuro dove essere la brina del mattino, quei piccoli aghi di ghiaccio che sembrano mandati dal cielo per ricordarci che siamo tutti ancora qui.
Un futuro dove essere ciò che chiamate vigilia: il giorno prima.
Voglio essere la veglia prima del momento, l’esitazione felice e malinconica del tempo dell’attesa, il momento che arriva, trema, e non vuole andare via.
Il momento che spinge quel momento ad andare via.
Il presente da rincorrere, il futuro da rinchiudere, il passato da stringere forte.
Voglio essere la crepa che c’è in ogni cosa, e la luce che entra in quella crepa.
Voglio essere la rupe e tutto ciò che la rupe ha inghiottito nel lungo corso di questi lunghi secoli.
Voglio essere questo secolo.
Quell’altro secolo, che è come quello che verrà.
Voglio essere i denti che battono per la paura, la pelle delle mani che raggrinzisce quando è gonfia d’acqua, il bordo dell’unghia del piede che penetra dentro la pelle, si incarna, si fa carne.
Voglio essere la carne.
Voglio essere il collo compresso con violenza, e strozzato da mani nemiche che non credevo nemiche.
Il respiro, l’ultimo respiro, il respiro che deve ancora venire.
Voglio essere le mani amiche che strozzano il collo nemico.
Il nemico e l’amico. Quello che divide il mondo in nemici e amici.
Voglio essere quel momento in cui, per un attimo, tutto questo finisce, finiscono i nemici, finiscono i pensieri, e noi, tutti, splendiamo della nostra stessa luce, abitiamo soltanto dentro noi stessi.
Voglio essere l’unità che non siamo in grado di vedere, l’energia creatrice che trascende ogni tempo, ogni spazio.
Voglio essere il germoglio brucato dalla vacca in un punto sperduto dell’universo.
Tutto ciò che nel mondo si disperde, dagli acari alle stelle.
Voglio essere il lombrico mangiato dal rospo, e il rospo che mangia il lombrico.
L’onda che cresce, risale il fondale e si solleva fino a rompersi a riva.
Voglio essere la riva e il fondale, la conchiglia spazzata via dall’onda, trascinata sulla sabbia.
La sabbia che arriva e che copre la conchiglia, che copre altra sabbia.
Essere la sabbia che è alla luce e la sabbia che è all’ombra.
Essere l’ombra che ci segue nel bosco, e ci fa compagnia tra i canti delle allodole.
La luce che certe mattine sembra ululare.
L’aratro che dissoda il terreno e il terreno dissodato, la formica uccisa dal passaggio dell’aratro, i muscoli delle zampe del cavallo che traina l’aratro, il contadino che ara: voglio essere l’aratro fermo, abbandonato, quando tutto è finito.
Voglio essere il legno marcito dalla pioggia, la pioggia che marcisce, la bambina che piange, la mamma che picchia, il sangue che scende, la ferita che ricuce la pelle, la cenere che se ne va e che si fa dimenticare.
Voglio essere tutte le guerre dimenticate, le paci da dimenticare.
Voglio essere tutto ciò che finisce nell’immenso deposito sotterraneo delle dimenticanze, tutto ciò che dimentichiamo ogni giorno, noi tutti, che siamo passati da questo pianeta.
Voglio essere la vetta della montagna, che congiunge il cielo e la terra.
Voglio essere il trattino che unisce cielo e terra, montagna e mare, est e ovest, vita e morte, noi e loro, io e te, e abbatte ogni parola, abbatte ogni confine.
Voglio essere una parola nuova, fatta di tutte le parole pronunciate da tutti gli esseri che sono vissuti sul nostro pianeta e su tutti gli altri pianeti.
Voglio essere la parola non pronunciata, quella silenziosa, quella detta da un salice, da un alligatore, da una salamandra.
Voglio essere una parola infinita, fatta di trattini, una parola unica che non ha più bisogno di trattini.
Voglio essere una parola così lunga che sarà pronunciata per intera, finalmente, solo quando sarà dimenticata.