ARTICOLO n. 10 / 2021

Vivere a Sud delle Stelle. Un Manifesto

Che cos’è il Sud

Sud è molto di più di una posizione geografica.

Sud è qualcosa che va oltre lo spazio e il tempo: una goccia d’acqua dell’oceano, un lotto di case popolari di una metropoli, il finito dell’infinito.

È una comprensione sottile delle tracce originarie di ogni cosa: a Sud della sua vita, del suo cammino, della sua luce evolutiva, nasce l’uomo.

La sua fede, la sua devozione, nascono a Sud delle stelle.

Energia di terra, di sangue e anima, un istinto che aspira al sincronismo tra il sentire e il pensare, la tradizione in una civiltà di cemento che ha coperto tutto.

Disperdere, ignorare tutto questo significherebbe per noi un vero e proprio impoverimento.

Potrebbe essere, questa, una riflessione o una considerazione di tipo antropologico ma certamente anche un sentimento vissuto fino in fondo con profonda coscienza.

C’è una tendenza che vive il Sud come se fosse una moda, distaccando l’arte dall’esistenza, riducendola ad una vera e propria farsa, una caricatura che nasce da un tipico atteggiamento borghese.

Come personaggi in cerca d’autore schiavi e oppressi dalle loro preoccupanti contraddizioni tanti vanno avanti con il loro monotono, puntuale partecipare ad ogni festa popolare, vestiti e confezionati per l’evento, ma lontani da quella sensibilità estetica più raffinata e naturale del popolo, che da secoli coltiva i suoi rituali e li consuma in una danza atavica, che salda il legame tra la vera tradizione e quella che nasce ogni giorno che passa.

«L’eredità di un Sud parla da sola». Ha scritto il poeta Ignazio Buttitta:

Un popolo
Mettetegli la catena
Spogliatelo
Tappategli la bocca
È ancora libero
Toglietegli il lavoro
Il passaporto
La tavola dove mangia
Il letto dove dorme
È ancora ricco
Un popolo
Diventa povero e servo
Quando gli rubano la lingua
Adottata dai padri
È perso per sempre…

Usa la parola popolo, il poeta Ignazio Buttitta.

Popolo, il raggruppamento più antico della terra è il punto di partenza della società umana e d’ogni tipo d’estetica. Tra il formalismo europeo apollineo e quello dionisiaco incentrato sull’emozione, l’estetica popolare vive nel presente, perché il passato e il futuro esistono unicamente nel presente come evoluzione dell’essere e della realtà stessa.

Il popolo, lavoratore naturalmente povero, continua a cantilenare i suoi canti proibiti e non proibiti, nelle situazioni e nelle forme più disparate, provando a creare nuovi codici espressivi nello stesso modo in cui si sono sviluppati i dialetti in passato.

Ritorna alla mente il vizio storico dei padroni di mettere in risalto la sua incapacità di parlare. Anche se poi gli stessi padroni restano impressionati nel prestare attenzione a quelle manifestazioni incomprensibili, ma piene di pathos, che solo il Sud vive.

I dialetti, le forme indigene, le somiglianze tra le musiche, le mescolanze, i cambiamenti, le trasformazioni, i fenomeni creano un’estetica ribelle presa a prestito nei secoli anche dalle forme d’arte più seriose come la musica classica, antica, la pittura e il teatro. È una conseguenza naturale che un linguaggio conosciuto da gran parte della gente venga poi utilizzato anche per la fede cristiana. Basta cambiare le parole: spesso la differenza è sottile tra le manifestazioni di protesta popolare e le devozioni dialettali, preghiere spontanee e confidenziali nelle quali il popolo sì allarga con il Signore, a volte fin troppo, tanto da trasformarle in vere e proprie rivendicazioni.

Lo spirito, il respiro che aspira alla vita suona il tamburo mentre il sole nasce dentro di noi; dentro e fuori, notte e giorno, va e viene a ritmo dell’universo.

Ecco l’importanza della musica sia dal punto di vista scientifico che storico-culturale: il trasporto, il possesso dell’anima che ricombina il singolo con il Tutto diventa una via d’accesso alla coscienza del cosmo così come cosmopolita è la tradizione popolare quando è aperta e raccoglie con curiosità le diverse espressioni che si manifestano da tutte le parti del mondo, senza alcuna discriminazione ma contribuendo a renderle storicamente rintracciabili.

La cultura popolare è innanzitutto una coscienza sensoriale, non è teoria ma il sentimento che diventa forma, cambiamento, contenuto.

Il
dialetto
va
approfondito,
evoluto …
e
utilizzato.

L’eco di voci lontane, tesori immensi e segreti immersi nel passato hanno contribuito al processo d’evoluzione della terra, aperta finalmente alle realtà di tutte le minoranze etniche rimaste nell’oscurità voluta dal mondo occidentale.

La memoria storica è coscienza volontaria di contrapporsi all’espropriazione e alla dominazione culturale…contaminati ma non colonizzati.

La contaminazione è unione, interscambio culturale, processo evolutivo. La prevaricazione è l’annullamento dell’altro, del diverso, è l’uomo che prevale sull’uomo.

La contaminazione è l’ibrido che prende vita come nuovo linguaggio.

La dominazione è il mondo che ripete in fotocopia i suoi errori. Negli ultimi decenni alle armi da guerra si è aggiunta la nuova tecnologia della comunicazione che con la sua industria dell’effimero raggiunge con apocalittici risultati l’Everest della negatività.

Il nuovo
giorno
nasce
nel giorno
che
muore.

La cultura popolare genera un’estetica che non è e non sarà mai d’assoggettamento.

Chi non conosce la propria storia deve inventarsene una, comprarsela o prenderla in prestito; se non c’è memoria non c’è identità, un vaso vuoto è riempito da altri. Il recupero della tradizione è il simbolo d’appartenenza alle proprie radici, un ritorno alla fonte, la meta come punto di partenza, la consapevolezza di una comprensione che va da cuore a cuore oltre i confini del già detto, già visto e già fatto.

L’antico che diventa nuovo, il nuovo che sa d’antico, il comune che diventa straordinario. Il pensiero nuovo si muove sempre dall’altra parte della strada, fuori di vista, come un viandante in pellegrinaggio sulla via del futuro.

L’estetica popolare non contempla mai una non evoluzione del linguaggio, è sempre il risultato di un’esperienza e di uno sviluppo comune anche se le sintesi avvengono spesso per opera di singoli individui. Il ritorno al passato? Il passato con gli occhi del futuro senza alcuna sottomissione psicologica e senza imbalsamazioni.

Gli stadi iniziali di un linguaggio e le forme nuove si muovono nel tempo senza riferimenti circoscritti, racchiudendo l’essenza dell’antichità che rivela l’umanità della vita mista ad una ricerca più profonda che nasce dalla paura della morte.

La perdita dell’espressione originale diventa una mancanza d’autonomia e di libertà, la rinuncia alla più gran ricchezza, le chiavi della porta dell’anima per poter volare anche nel disagio, nella sofferenza, nella mancanza e nell’aridità di una realtà incapace di intravedere un futuro.

Credere nei sogni e nelle probabilità a cui segue l’azione è l’unica vera risposta alla sudditanza e all’omologazione che appiattisce e livella gli uomini ad una bassa coscienza e alla nostalgia del ricordo.

Che consola ma non guarisce.

Che cos’è la tradizione

Oggi la tradizione è una vera e propria mappa dei movimenti popolari, tendenti all’universalità in una dimensione ampiamente umana; diventa una risposta stilizzata pur conservando le preoccupazioni sociali ed emotive del linguaggio primitivo. La società divisa si mette al passo con il resto del mondo.

Ogni età della tradizione nasce dal proprio ambiente sociale e psicologico; il tema base è il nucleo d’appartenenza e le vicende collaterali.

C’è sempre un confine culturale che il popolo non può valicare. Non può diventare padrone, e questa forse è la sua vera forza; può avvicinarsi alla cultura dominante ma deve servirsi d’altre risorse: popolane o esoteriche che siano. In questa terra di nessuno riesce a coltivare logica, bellezza e verità.

Quella che è stata definita tradizione popolare è, più d’ogni altra cosa, il risultato d’esperienze plurime sociali e culturali.

È doveroso fare una distinzione tra popolaresco e popolare. Il primo erroneamente definito con aggettivi come ‘semplice’, ‘schietto’, ‘genuino’, in contrapposizione netta alla complessa realtà urbana, spontaneamente dedito ad uno status di finzione che nega quello culturale. Il secondo sempre militante, senza filtri, un linguaggio che permette ad ogni uomo di rapportarsi e confrontarsi con il suo mondo interiore e quello esteriore; l’uomo, il mondo e viceversa.

La consapevolezza sociale della crescente importanza della tradizione e dello sviluppo della sua accettazione ci fa capire com’è impossibile metterla fuorilegge, visto che il popolo non potrebbe mai creare senza questa risposta metafisica al suo naturale desiderio di libertà. Possiamo a questo punto tranquillamente dire che l’incontro etnografico con i gioielli del passato è fondamentale perché ci offre la possibilità di nuovi sviluppi linguistici ed espressivi.

Un
povero
non
ha
che
da
studiare
tanto
se
vuole
credere
nei
sogni
e
nelle
probabilità.

La povertà crea la tradizione. Dire semplicemente questo è impossibile. Così come sembra impossibile che una dichiarazione del genere abbia senso. Questo effetto ha creato una vera e propria condizione intellettuale d’interesse per la tradizione anche come fenomeno sociale come qualsiasi altro tipo di fenomeno.

L’amore, il sesso, il sogno, la solitudine, sono cose, idee, una realtà che crea forme e contenuti anche dove il degrado neutralizza qualsiasi tipo d’emancipazione. Il decentramento della plebe nel tempo ha creato un enorme numero di poveri.

Il popolo, depositario di una conoscenza antica, la saggezza popolare, essendo da sempre proprietà di qualcuno e dovendo dare per dovere tutto ciò che può, che ha e che è, svolge da sempre una funzione integrante della tradizione tra le classi sociali.

La storia di milioni d’uomini provoca enormi cambiamenti anche in quelli che comandano.

Il potere si diverte sulla strada, Il principe e il povero; il popolo sogna il palazzo, Cenerentola.

I padroni attingendo dalla tradizione usanze antiche ed antiche passioni hanno cercato spesso di governare con una mentalità da popolo. Anni di costrizioni e repressioni, di riti liberatori e santi protettori, hanno lasciato un segno indelebile anche nei cuori dei potenti, se di cuore si può parlare.

I demagoghi assumono la leadership del popolo e contribuiscono al conflitto di classe tra i ricchi e i nuovi poveri che fanno da capro espiatorio confondendosi con i ricchi per l’istruzione acquisita e per le pari opportunità che il sistema falsamente fa intravedere con storielle da «saranno famosi». 

Naturalmente l’ondata di molti istruiti, ambiziosi ed entusiasti del consumismo, rispetto alla questione della tradizione si è lavata le mani.

I poveri che si sono arricchiti non amano ricordarsi e si rifugiano in cose futili per vivere e sentirsi sicuri di non perdere la loro tranquillità. La ricostruzione della tradizione così diventa caotica perché è interrotto quel ciclo metodologico basato sull’interrogazione dei testimoni. 

La classe media, nata dopo lo sviluppo economico, si è indirizzata invece su due corsie parallele: da una parte, non dà mai abbastanza importanza alla propria provenienza; dall’altra, ancora peggio, sperimenta l’abbandono di quelle tradizioni e usanze considerate volgari o troppo popolari. Folklore? Il filo è sottile. Non sono state però scelte ideologiche, ma una cosciente affiliazione alla società capitalistica. L’eroe per loro è un povero fortunato, una carrozza per gente comune nel viaggio dell’affermazione-accettazione di una realtà che imitano, annullando se stessi.

Da un punto di vista strettamente artistico i fatti mostrano chiaramente come i vinti si sono appropriati di molti elementi della classe egemone, in particolare di quelli legati al teatro, alla musica e alle rappresentazioni. Chiaramente in questo passaggio una particolare maestria elaborata si dissolve in uno stile essenziale ed imprevedibile. Da un punto di vista strettamente sociologico invece segna l’ingresso dei diseredati nel mondo dell’arte, dello spettacolo, con tutte le implicazioni che un fenomeno del genere comporta.

La Vox Populi è una necessità di gruppo, anche se si pensa che ciascuno abbia la propria voce.

L’arte è un fatto privato e personale circoscritto a piccole comunità, spesso è girovago e quindi di quando in quando ha un pubblico occasionale, cibo, vestiti e, a volte, anche denaro in regalo.

Da sempre si ritiene che tutti possano essere artisti ed è dato per scontato che l’educazione artistica non fa parte della tradizione popolare; il talento è considerato il risultato di un’inclinazione naturale. Data la predisposizione veramente personale non c’è nessun metodo per impararlo. La cosa più importante sono le motivazioni che devono nascere dalla vita.

Anche adesso quando l’arte popolare acquista un certo grado di professionismo diventa qualcosa di radicalmente diverso: non allevia più la fatica, le sofferenze ma dall’occasionale riflessivo personale diventa intrattenimento ufficiale. Nasce così l’artista professionista che, del suo ex modus vivendi, ne fa un modo per guadagnarsi da vivere; muovendosi dal folk, dalla tradizione, con una gestualità emotiva controllata, sfiora l’immaginario collettivo ed entra nella rappresentazione pubblica, nel gusto popolare che favorisce questa trasformazione graduale.

La tradizione artistica popolare è stata riletta oggi molto più di quanto sia successo in passato diffondendosi un certo stile che è ormai divenuto un modello che contribuisce a non standardizzare l’arte popolare.

Proprio come i primi comunicatori hanno diffuso un nuovo codice d’appartenenza oggi da qualsiasi punto della terra arrivano segnali iniziatori del nuovo linguaggio universale che abbracciano uomini d’ogni razza e colore.

L’intercultura è lo sbocco per le nuove realtà sociali, il pane fresco della nuova alba del nostro pianeta.  Soltanto salvando la lezione dei nostri predecessori la società di domani può creare valore aggiunto alla storia.

Questa era, se eredita dalla tradizione tutto quello che incredibilmente ha di bello e d’insegnamento, sarà un’era di carne e ossa ma lascerà il suo spirito che illumina il cammino dei nuovi giorni.

Avanguardia, tradizione ed evoluzione sono il fenomeno di due tendenze umane parallele, una conservatrice e una evolutiva, una primitiva magico-superstiziosa e una sperimentale fantastico-intuitiva.

Le nuove idee spesso nascono dalle forme conservate delle idee precedenti fuse con l’esperienza passata. La contaminazione della fase iniziale cede il posto ad una fenomenologia evolutiva del tutto originale. Un modulo di processo ideale che genera segni stilistici su un piano assolutamente extra storico; la cultura antica si fonde alla moderna.

Il concetto di comunità umana e la semplicità popolare stanno all’origine di tutte le metamorfosi della tradizione.

Bisogna fare attenzione invece alle cartoline folkloriche entrate ormai nei cliché mentali della gente che identifica i gruppi etnici nella cadenza del parlare, nelle eccitazioni sensuali e religiose, nella faziosità del gergo, nel dilagare di una filosofia furbesca o vittimistica. Il pericolo può essere di rientrare in una categoria definita semipopolare che non è né carne né pesce e che è molto lontana dalla novità che nasce dall’alchimia sociale e multirazziale.

La nobiltà vera, la nobiltà di cuore indubbiamente è un elemento distintivo di un popolo che trionfa per motivi, ispirazioni e aspirazioni. La passione, la volontà e la dedizione creano correnti di diverso interesse estetico, associativo e assistenziale, predestinate al miracolo di essere dalla parte di un progresso edificante e veramente applicato da una politica sociale equa e lungimirante, consanguinea della comprensione e della tolleranza.

La primitività moderna surroga un convenzionale spirito di devozione con un realismo d’impatto. Una dimensione psicologica in cui si è devoti, dritti, libidinosi, diabolici e complessi. Una rabbia-rifiuto di tutto il veleno che il vendicativo, il grossolano, consuetudinariamente porta.

Lo sviluppo e la diffusione della cultura, pur non rasentando la perfezione da un punto di vista metodologico, sono interessi specifici per la vita. Il problema è generale, ma nel disordine una ricostruzione dal basso è l’unica risposta.

La repressione e il complesso della miseria creano una cultura di rivalsa in rapporto stretto con la storia popolare e la rivendicazione dialettale; un allargamento quantitativo e qualitativo del campo sociologico.

La tradizione popolare è anche realtà visiva, nel senso che si può comprendere in modo totale solo se si è in grado di assistere al suo svolgimento. Essendo a volte anche espressione di realtà corporea è realizzata con tutto il corpo.

I cultori della tradizione sono perfettamente consci da tempo di quest’elemento visivo o per lo meno l’avvertono inconsciamente. Perciò esistono così tanti libri d’immagini e fotografie.

I responsabili dei programmi televisivi dovrebbero finalmente capire che nessuna realtà è più ottica di tutto ciò che la tradizione popolare offre, e che è necessario per poter convertire la vita in immagine.

Susan Sontag, saggista americana, osserva che si può prendere un oggetto e impossessarsene, dominarlo, semplicemente facendogli una foto, ancora più di quanto non si possa fare con le parole.

Potrebbe naturalmente anche essere un disegno ma la fotografia mostra chiaramente e con assoluta evidenza la bellezza e la temporaneità della vita di una simile realtà. La fotografia, e naturalmente il cinema, è tra le nuove arti il mezzo più potente per avvicinare le esperienze del passato a chi altrimenti non avrebbe la possibilità di venirne a contatto, creando una possibilità percettiva di suoni ed atmosfere vive oggi e domani. La conseguenza è la facoltà di poter giudicare ancora quell’esperienza.

La fotografia ci permette di superare il limite proveniente dalla mancanza di ciò che è rappresentato le cui qualità e caratteristiche valgono di per sé a riassumere e a fornire un immediato colpo d’occhio della situazione che si vuole rivivere.

La maggior parte dei cultori della tradizione vuole solamente la musica. Tutto il resto gli è indifferente. Questo si capisce benissimo ma bisogna sapere anche ciò che implica: chiudere gli occhi davanti alla realtà.

La musica è impensabile senza un ambiente circostante, senza la società nella quale vivono i musicisti, senza il tempo in cui si trasformano i suoi stili, senza i paesi, i luoghi in cui sono cresciuti molti di loro; uomini che vivono coscientemente il loro secolo e che vogliono apprendere qualcosa dei tempi che vivono e qualcosa dai tempi che furono. Naturalmente si sa che con la musica si può apprendere un intero mondo di sensazioni e realtà molto intensamente e spontaneamente più che con altre metodologie.

I testi popolari vogliono contenere solo lo stretto necessario, in quanto l’accento è posto innanzitutto sul lato vero e devono anche per motivi di memoria essere più brevi possibili.

Ciò nondimeno riporteranno tutto quello che è ignoto all’utilizzatore, ossia tutto ciò che non appare nelle altre pubblicazioni. Da un lato non si può rinunciare all’impalcatura di ciò che è già noto, infatti il testo deve orientare un’opera perché s’inserisca nell’adeguato contesto storico-artistico, dall’altro gli autori essendo avvezzi all’arte di scrivere vorrebbero dare molto di più.

La cultura popolare è un collage di citazioni, aneddoti, dichiarazioni originali, atlanti di feste e interviste provenienti da fonti importanti che riportano il pensiero e l’anima irrinunciabile per la continuità della scienza della tradizione.

Il carattere del collage spesso evita le valutazioni eccessivamente personali rappresentando semplicemente le cose come stanno e consentendo così l’accesso ad un mondo vario e multiforme.

La rivisitazione, la rielaborazione o l’invenzione nella composizione degli eventi e dei fenomeni, richiedono una cernita e una predisposizione naturale, che rimane l’opera di un singolo che è conscio della soggettività delle sue idee e d’ altre possibili esposizioni, interpretazioni e opinioni.

World Culture: tradizione e religione del mondo

Si è spesso cercato di definire e di descrivere la cultura del mondo nei modi più disparati: formale, storico, sociologico, sentimentale, innovativo, ma nessuno è mai apparso appagante, del resto ogni definizione statica non da un ritratto rilevante e significativo della cosa ma ne sfiora semplicemente la superficie.

È un fenomeno legato eminentemente alla realtà urbana e al nuovo tempo. Il ricco patrimonio popolare, definito arcaico, è quasi una preistoria della World Culture. Una vera e propria anticipazione i cui successivi sviluppi si sono protratti fino ad oggi, miscelandosi talvolta con alcune delle sue forme più indicative; ora puro folklore, ora semplice parente prossima di una nuova conoscenza. Difficilmente prima d’ora una realtà si è rivelata così feconda sul piano culturale.

Le radici della contaminazione si possono ricercare in qualsiasi paese dove più culture crescono insieme. Nessuna radice è più importante dell’altra o è di minore spessore.

La religione rappresenta qualcosa di sensibilmente importante per il popolo del mondo: essa non è solamente creduta ma anche sentita, in una tale dimensione da penetrare in tutte le forme e sfaccettature della vita.

La vita è per il popolo religione vissuta.

La religione è la coscienza interiore di un rapporto autentico, dinamico: l’individuo, la natura, l’universo. Per questo motivo alcuni eventi dell’arte non sono possibili senza il sentimento della religione.

Deve essere chiaro dall’inizio che il dialogo dell’uomo con Dio o con gli dèi è un mezzo di comunicazione con la natura e con il creato. Una forma che di conseguenza è l’espressione originaria che si rafforza e si materializza in un dialogo tra il singolo e la comunità, tra gli uomini della medicina e gli abitanti del villaggio. I mondi rituali africani, dell’Islam, del Buddismo, dell’Induismo, del Cristianesimo, si svolgono in forma dialogica: invocazione e replica, domanda e risposta.

Il singolo invoca e domanda; la comunità risponde.

I rituali sono perciò d’estrema importanza, non solo perché appartengono a un patrimonio tradizionale ma anche perché essi sono un vero e proprio carattere distintivo, al punto che hanno accompagnato l’evoluzione della tradizione fino ai nostri giorni, sviluppandosi contemporaneamente loro stessi. In questo modo hanno alimentato la contaminazione al punto tale che oggi sono una componente fondamentale nella stilizzazione. Una rete di rapporti fitta tra stili diversi, nuovi e antichi, una ragnatela di scambi e incroci.

È difficile rinvenire nelle storie etnologiche un’evoluzione sempre coerente, limpida e organica. Di contraddizione in contraddizione si può arrivare però ad una sintesi valida per la cultura popolare contemporanea, schieratasi per scelta con le minoranze etniche.

La World culture ama e narra la libertà, la libertà di tutti i popoli: morire e lasciare qualcosa che resti significa tornare di giorno in giorno nel cuore di chi resta.

Il mito, la verità, il richiamo della vita con il suo dolore, la speranza, le terre promesse.

La colpa verso un popolo e verso la storia è estraniarsi in un sogno personale a discapito di una profonda coscienza dell’evoluzione delle masse.

La tradizione popolare continua la sua opera, sia pure con tutte le contraddizioni, le incertezze dell’epoca in cui vivono e le diverse influenze che arrivano da tutte le parti. Dare al mondo ciò che si aspetta è il proclama ufficiale di questo secolo, che però non appartiene a coloro che da sempre vivono agognando il mutamento ed il rinnovamento.

La conoscenza ha milioni di radici ma la radice più forte che dalla sua terra ha dato più frutti è quella della vita. La riscoperta di questa gran verità è stata forse uno degli avvenimenti più interessanti di questi ultimi anni.

Le nuove intuizioni, le grandi idee, non si possono rinchiudere entro i limiti di una frontiera qualsiasi.

Le scoperte individuali devono porre con urgenza il problema di inserire la voce del singolo in un coro che non dà fastidio e non circoscrive la portata degli effetti di un messaggio in un’interpretazione limitatrice. Da quest’esigenza riduttrice hanno avuto origine i tentativi di incapsulare e ritardare la crescente diffusione e influenza della tradizione popolare che grazie ad organizzazioni a volte clandestine, militanti e migranti proveniente dalle correnti progressiste riesce a difende la propria identità in un clima d’agitazione e indignazione.

Le associazioni culturali che oggi ne sono tante e meno slegate di ieri agiscono spesso in sintonia e in collaborazione sui territori recuperando e approfondendo il proprio vissuto. Una ricerca colta fatta di nuove eccitazioni, stimoli e nuovi mezzi tecnici; influenze surrealiste, idee personificate, una foresta di simboli e tendenze decorative.

Il tentativo di utilizzare tutti i mezzi, innanzitutto la scuola per elevare la tradizione popolare ad un’altezza mai conosciuta prima.

La società moderna vive nel caos, nell’alienazione e nell’estraniamento del mondo ormai in crisi totale. I simboli ed i nuovi miti non riescono a frenare quest’eutanasia percepita con animo spaventato ed estraneo.

Una realtà che può essere compresa e dominata solo dalla ragione e dalla volontà che crea un sentimento nuovo della vita, un modo speciale, unitario, di aprire la porta della prigione in cui tutti gli uomini di poca fede quotidiana mente sono costretti a vivere. Una nuova dimensione che nasce dalla consonanza delle dissonanze, dall’armonia sulle disarmonie della società di domani.

La tradizione popolare non può abbracciare tutto quello che non cambia. Questa brutale sincerità svela il senso profondo delle cose della vita.

Una continuità indiscutibile lega gli esordi di ieri ai recentissimi risultati d’oggi che confluiranno nelle conquiste future. Da sempre si ruota intorno ad un manipolo di realtà-chiave: amore, guerra, pace, tempo, gioia, paura, dolore. La civiltà popolare le delimitata all’inizio in un perimetro di linguaggio, nel tempo si è arricchita d’infinite loro variazioni, facendo prevalere a volte l’accanimento civile, la sensualità più sfrenata, altre l’incantesimo mistico, il sarcasmo dell’abbattimento cronico, l’ironia superstite della rassegnazione.

Si avanza per passi, per contrapposizioni, per accumulazioni sulle quali domina la forza della tradizione con il coraggio della sperimentazione. La trasformazione della creta in oro; il tempo, il mondo, tutto il tempo del mondo. La rivolta individuale, l’uomo perennemente in rivolta anche quando le rivoluzioni s’imborghesiscono.

La trasmissione della comprensione è e sarà sempre impegnata in un continuo confronto/scontro che ha come ricompensa quelle verità ultime irraggiungibili o inesistenti circa l’esistenza.

L’uomo cerca un porto sicuro dove non gli sfugge tutto, dove tutto non diventa incontenibile, irremovibile, dove non perde il senso dell’esistere. Ciò nonostante, la battaglia continua, l’umanità è condannata ad alleviare con invenzioni sempre più sorprendenti l’eterno gioco della vita.

L’unico obiettivo è condurre nel migliore dei modi questa continua ricerca, apparentemente senza sbocco.

I Sud del mondo

Il rapporto con il corpus della tradizione popolare e con l’insieme dei saperi etnologici cresciuti attorno ad essa, è una questione ampiamente sentita dai ricercatori della configurazione culturale mondiale contemporanea. La loro profonda erudizione in materia, quanto l’originalità e la varietà dei loro punti di vista ha dato ampie risposte e chiarificazioni sul tema.

Le tradizioni popolari mondiali sono onerose sulle spalle della World Culture. Una montagna di materiale a proposito della tradizione. Nel confrontarsi con essa non bisogna essere precari altrimenti si sprofonda nel buio. Il tema del rapporto tra pensiero della cultura del mondo e saperi delle tradizioni è trattato da un’angolazione particolare: l’educazione.

A differenza del sapere antico, costituito interamente di quesiti sul cosmo, la World Culture non usa direttamente la forma interrogativa ma scioglie una serie di nodi riguardanti il rapporto tra conoscere e ricreare.

L’apprendimento delle lingue, dei dialetti, le opere dei maestri, le invenzioni popolari sono alla base di un’educazione che alimenta il vento leggero del progresso.

Sul tema educativo la scelta è radicale: la memorizzazione della conoscenza antica non basta certo a coglierne l’essenza; l’esercizio non deve essere ridotto a pratica disciplinare ma comparato ad un’attività di chiarore creativo e di rarità espressiva.

La funzione del maestro non deve essere ambigua, né devono più esserci confini nazionali ad un’educazione multipla. Così come essa scivola fuori dalle frontiere nazionali, allo stesso modo le verità scivolano fuori dai saperi.

È proprio sul terreno dell’educazione che, agli occhi di un cittadino del mondo d’oggi, lo statuto intellettuale del conoscere risulta colpito da una crisi radicale.

Guai se la tradizione popolare dovesse contare solo sull’educazione. Le resterebbero oggi ben poche speranze: perdita della memoria, rinuncia e cessazione del desiderio di ricerca.

La cultura non può fare a meno dei saperi della tradizione, problema come si è detto cruciale per l’intera configurazione della comunicazione contemporanea.

La soluzione è una riappropriazione diretta della trasmissione orale saltando qualsiasi mediazione educativa. Tale soluzione è praticata da tutti i cultori del popolare, che pur essendo profondi conoscitori della tradizione, sono tutti degli autodidatti o in ogni modo hanno svolto la loro formazione al di fuori delle istituzioni educative.

L’esigenza è quella di reinventare lo spazio di un sapere a partire dall’odierna ristrettezza. In quest’indigenza, nella condizione di degrado dello spazio culturale d’oggi, può esserci nuovamente conoscenza, anche se circondata da un’immensa palude.

La luce rarefatta, il chiarore naturale della cultura del mondo è capace ancora di illuminare da angoli diversi l’intero pianeta. La precarietà congenita di un’esistenza dall’ossatura fragile come un sogno trova in quest’orizzonte di riferimenti lontani, in quest’impalcatura non ancora smantellata, l’energia necessaria ed inevitabile per cancellare le tracce della sterminata palude che riappaiono come macchie sul foglio della vita.

La posta in gioco è alta: ripulire la storia da quel fango o trasformarlo in materia prima della storia stessa.

Dalla questione affrontata fin qui una parte del mondo ha istituito una forma di distanza. Da questo distanziarsi intrinseco prende forma un nuovo dubbio che saremmo abituati a considerare prettamente filosofico: la relazione tra l’essere e l’apparire. Quale dei due è l’elemento portante della nuova cultura?

L’apparire non può mai essere vero visto che vive nel vuoto intermedio condiviso dall’essere e dal significare. Infatti, in questo spazio immaginario ha origine il vero apparire. L’uomo di domani vorrà essere, sapere ed apparire profondamente vero.

L’insieme delle culture popolari del mondo alla ricerca d’ un codice comune aspirano innanzitutto a cogliere l’essenza dei messaggi singolari personali e oggettivi. I sentimenti terreni, i pensieri celesti; la verità corregge la vita, la vita corregge l’uomo. Molte lingue volano in questo mondo, che sia sempre amore. Questo è il contenuto della World Culture che non si ferma alla fonte degli eventi ma si muove nella corrente del divenire.

Il cuore del popolo sotto milioni di mattoni. I libri nell’acqua per lavare, eliminare, tenere dentro quello che serve e sbarazzarsi dei feticci.

Qualcuno dice che se non si soffre non s’inventa niente, forse è vero perché quando si sta troppo bene le idee sono come arcobaleni, spariscono troppo in fretta. Ecco perché la tradizione popolare che è nata nel disagio e spesso nella disperazione oggi è ancora viva.

Di fronte al progressivo degrado della situazione culturale, il pericoloso deterioramento delle città e il rischioso decadimento delle periferie non si può non restare sorpresi dall’impegno civile e morale della World Culture che con alcuni giornali e radio specializzate riesce a creare e preparare grandi eventi che hanno una diffusione sorprendente anche via internet. Questa posizione ispira in maniera diretta e immediata una cultura di taglio politico immersa nell’attualità. Una scelta che aiuta ad illuminare il nesso profondo tra il cittadino e il mondo, tra l’uomo e la vita.

Dalla riscoperta del passato viene fuori un’idea di ricomporre, passo dopo passo, una sorta di realtà-verità, discipline-attività, episodiche e autonome ma al tempo stesso indissolubilmente connesse. Un movimento caratterizzato da un’energia nuova, da una viva tensione morale e dalla nitidezza di un linguaggio dai contorni netti e forti che dà vita ad una comunicazione felicemente immediata. Il segnale più autentico e più profondo delle culture indigene itineranti. Gli splendori e le tragedie dell’esistenza dei popoli nella voce che riecheggiano sulla terra.

Nel chiuso dei lager costruiti ai margini della civiltà urbana l’unico messaggio è vivere.

L’anima, inglobata ed estraniata, offesa e ghettizzata, riesce a ritrovare ancora l’orgoglio e la dignità che riscatta e l’appaga. La società capitalistica non potrà disintegrare l’universo mitico dell’uomo del popolo che emerge nel silenzio dello squallore. Le culture delle comunità minoritarie, sempre in bilico tra assimilazione e indifferenza ritrovano la condizione per non scomparire.

Investire sulle risorse umane e intellettuali, sulle loro possibilità di sviluppo, significa coinvolgere l’area geografica, puntare sulla fantasia, sull’ingegno.

La consapevolezza delle proprie radici, delle proprie capacità espresse ed inespresse riesce sicuramente ad articolare progetti e percorsi sostanzialmente di valore culturale.

Un profondo rinnovamento democratico e progettuale all’interno della comunità nazionale ed internazionale sta sviluppando un organico e dinamico effetto di crescita destinato a generare sempre più risorse e strumenti appropriati per sostenere una creatività ed una vitalità collettiva.

Nell’era discussa della globalizzazione la cultura tende a tradurre in linguaggio immediato e universale le aspirazioni di tanti che non sono disposti ad accettare il globale, facendo propria una dimensione imparziale e rispettosa delle diversità.

L’intelligenza riesce con fatica a sopravvivere nonostante la grande fabbrica dell’alienazione. Alcuni cultori della tradizione popolare sono diventati promotori delle diverse espressività della terra.

Tutto
il
mondo
è
paese
e
il
grande
villaggio
globale
è
stato
dichiarato
tale
dalle
diverse
culture
del
mondo.

ARTICOLO n. 93 / 2024