ARTICOLO n. 83 / 2024

NOLITE TE BASTARDES CARBORUNDORUM

A una settimana di distanza dal risultato delle elezioni statunitensi che hanno visto trionfare per la seconda volta Trump, il doveroso e logico timore che i prossimi quattro anni possano essere una tragedia per molte, moltissime persone appartenenti alle categorie marginalizzate non si placa.

Se all’alba dei risultati elettorali lo sgomento e la disperazione la facevano da padroni a tutte quelle reazioni affidate da migliaia e migliaia di persone ai social media, dopo sette giorni il dolore si è trasformato in azione e perfino i nostri feed europei – X e Tik Tok soprattutto – si sono riempiti di una vera e propria catena di video di chiamata alle armi da parte delle donne e delle persone della comunità LGBTQ+ nordamericana.

Facendo un passo indietro per capire come si sia arrivati a una situazione sicuramente nuova e potenzialmente frizzante, la mia mente si sofferma innanzitutto sulle promesse di Trump.

Se per quanto riguarda la politica estera, sia lui che Harris hanno sempre avuto idee piuttosto genocidiarie (dove “piuttosto” è un eufemismo), in politica interna il tycoon ha saputo avvicinare molto elettorato democratico con la promessa di una diminuzione delle tasse, un aumento del lavoro, sgravi fiscali, una propaganda mirata a targhetizzare le minoranze e una bella infarinata di complottismo come dessert (dalla negazione della crisi climatica ai deliri sulla comunità LGBTQ+, dai gatti mangiati a Springfield alle falsità sui migranti). I risultati di questa campagna che mira a rassicurare l’elettorato (affamato, impaurito, arrabbiato) si vedono chiaramente nelle proporzioni dei votanti per Trump: il 63% degli uomini bianchi, il 49% delle donne bianche, il 47% degli uomini latino-americani. Le donne nere, quelle di origine sudamericana e quelle appartenenti ad altri gruppi etnici hanno ampiamente dato fiducia a terze parti o ai democratici.

E questo perché, a differenza di moltissime donne bianche Gen X (questa la fascia femminile che più ha votato per Trump), hanno molto più chiaro cosa ne sarà dei diritti delle persone con utero nei prossimi 4 anni. 

E se le donne bianche e borghesi di mezza età non si pongono troppo il problema poiché si godono ancora per poco il privilegio di classe, etnia e quello di essere vicine alla menopausa e quindi non più corpi utili per la funzione riproduttiva, le giovani donne di tutto il blocco statunitense, soprattutto quello degli stati repubblicani, si sono unite in un coro digitale senza precedenti.

Utilizzando i social come cassa di risonanza e strumento per creare una vera e propria catena. Prima le donne e poi le persone alleate si sono unite in una serie di reti che, da quanto sono partecipate, sono arrivate anche oltreoceano. 

Nei giorni immediatamente successivi all’elezione di Trump, la rete si è riempita di consigli pratici da attuare in velocità ovvero prima che il presidente entri alla Casa Bianca a gennaio.

Ci sono centinaia di migliaia di video che consigliano di comprare Plan B – ovvero la pillola del giorno dopo – e farne scorta in modo da poterla garantire alle persone della propria comunità che non possono comprarla. Lo stesso consiglio vale per la Ru486, ovvero la pillola a base di mifepristone che permette di ricorrere all’aborto farmacologico. Negli Stati che mantengono intatti i principi di autodeterminazione previsti dalla Roe v Wade, questa si può acquistare con prescrizione medica direttamente in farmacia. Entrambi i farmaci hanno una validità di oltre quattro anni.

Tra i consigli più importanti sempre riguardanti la salute riproduttiva c’è quello di ricorrere prima di gennaio a contraccezione ormonale a lunga durata come IUD e dispositivo sottocutaneo, che hanno la durata di circa quattro anni o più, in base al modello. Molte persone consigliano anche di farsi legare le tube, e di non portare avanti gravidanze nei prossimi anni poiché il rischio di sepsi e di morte della gestante potrebbe essere elevato in quanto in alcuni Stati non è garantito neanche l’aborto terapeutico.

Considerando i pericoli anche legali a cui vanno incontro le persone che vogliono interrompere una gravidanza, molti profili social consigliano di cancellare le app di tracciamento del ciclo mestruale in quanto le compagnie che le gestiscono, in caso di indagine e su richiesta dei singoli Stati, potrebbero dover rilasciare i dati privati delle utenti. E, in questo senso, ogni anomalia del ciclo mestruale potrebbe diventare un motivo di dubbio o ulteriore indagine.

So che d’impatto tutto questo sembra un capitolo de Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, ma la distopia in cui è ambientata la storia di June Osborne/Difred non è distante dalla realtà, soprattutto ora che il Project 25 potrebbe essere supportato da uno dei presidenti degli Stati Uniti più conservatori – e imprevedibili – della storia.

Il Project 25, un programma in più punti e di oltre mille pagine che dovrebbe garantire una transizione repubblicana di tutti gli Stati, è stato studiato dalla Heritage Foundation, un’organizzazione iper-conservatrice che mira a ridefinire i ruoli istituzionali all’interno del governo federale. Seppure Trump ne abbia preso le distanze, la linea politica che ha adottato in passato nei confronti delle politiche relative alla salute riproduttiva e ai diritti delle famiglie omogenitoriali e delle persone trans è molto vicina al documento redatto tra le altre cose da alcuni dei suoi fedelissimi che hanno collaborato con lui nello scorso mandato.

Il delirio conservatore e reazionario alla base del Project 25 è quello più caro al pensiero repubblicano e si fonda su principi biblici antiscientifici e discriminatori.

Per questo, vista la vicinanza di Trump a suddette idee distorte e soprattutto in seguito all’abolizione della Roe v Wade, chiunque abbia un utero o non rispecchi in pieno i valori “tradizionali” ha iniziato a farsi due domande.

Se le categorie marginalizzate dunque si stanno organizzando, gli uomini bianchi repubblicani – soprattutto gli uomini bianchi repubblicani appartenenti alla GenZ – si stanno riversando sui social commentando ogni post, reel, video, storia femminile di organizzazione e logica preoccupazione con la frase “your body, my choice” ovvero “corpo tuo, scelta mia”. La frase è stata resa virale all’alba della vittoria di Trump dal fenomeno del web e neonazista Nick Fuentes.

Fuentes, che con questa frase minaccia un intero genere di violenza sessuale, coercizione riproduttiva e misoginia, ha attivato un effetto a catena nei giovani maschi statunitensi che si sono mossi in gruppo targhetizzando tutti i video delle donne sopracitate. L’effetto è stato quello di una vera e propria onda di minacce di stupro e di morte verso il genere femminile condito di insulti razzisti o transfobici, misogini e abilisti.

Ma è proprio dopo questo evento che il fenomeno neofemminista statunitense ha preso una nuovissima e inaspettata piega. Internet si è infatti riempito di video di risposta. Una risposta, come dire, peculiare e sicuramente per me, da questo lato dell’Atlantico, inattesa.

Sono decine e decine i video di giovani donne che, ripetendo la frase di Fuentes, imbracciano un fucile o caricano una semiautomatica guardando dritte nella fotocamera dello smartphone. Alcune ripetono la frase maneggiando asce o armi da taglio, altre praticando arti marziali o autodifesa.

Sono invece centinaia i video femminili – sarcastici – sull’acqua tofana, ovvero il veleno inventato dall’omonima Giulia Tofana che, leggenda vuole, fosse usato dalle donne palermitane del diciassettesimo secolo per uccidere i mariti dai quali, per legge, non potevano separarsi e dai quali subivano ogni tipo di sopruso. 

Fanno molto sorridere le risposte piccate di giovani uomini bianchi che si lamentano spaventati del fatto di non potersi più fidare di bere da bicchieri offerti da donne o condivisi con loro. Fa molto sorridere perché se per loro la minaccia di un possibile avvelenamento o di essere drogati è estremamente remota, il genere femminile vive con questa paura quotidianamente. 

Non solo: sono previste nelle prossime settimane due manifestazioni generali di sciopero delle donne su modello svedese, unite a movimenti di boicottaggio della piattaforma di Musk, di Amazon e dei grandi colossi capitalisti, proprio in vista del Black Friday.

Ma non finisce qui: oltre alla corsa agli armamenti e alla mitologia, la risposta più impattante a questa fiumana di minacce di stupro è stata il doxxing. Il doxxing è la pratica di rendere pubblici indirizzi e dati personali delle persone via web. Solitamente usata nella condivisione non consensuale di materiale intimo, di questa pratica, in questo preciso momento storico, se ne è riappropriato velocemente il genere femminile, esponendo al proprio pubblico social gli indirizzi, i luoghi di lavoro, i nomi degli uomini che avevano minacciato le creator di stupro e morte.

Tra screenshot inviati alle famiglie dei molestatori, tra mail consegnate a università e luoghi di lavoro degli abusanti, il caso più eclatante riguarda proprio Nick Fuentes, il cui indirizzo di casa è stato doxxato sul web e lo spavaldo neonazista è sparito dalla circolazione digitale da qualche giorno, dopo aver blurrato la propria abitazione su Google Maps.

Il fenomeno in cui si inserisce questa risposta forte e coesa, che arriva dopo anni di battaglie come MeToo e Black Lives Matter (che non hanno avuto l’eco che avrebbero dovuto avere) ha un nome, e sotto il suo hashtag i contenuti sono ormai centinaia di migliaia. FAFO, acronimo che sta per Fuck Around and Find Out, ovvero: se fai una cazzata, aspettati le conseguenze. 

Perciò, davanti a comportamenti che sono sempre rimasti impuniti – dai governi, dalle piattaforme, dalla società, dagli altri uomini, dai media, dalla collettività, dai giudici, dalle famiglie e dalle scuole di ogni grado – l’unico strumento rimasto alle donne e alle categorie marginalizzate per ottenere una parvenza di sicurezza e tranquillità a quanto pare è rispondere a tono.

Se i maschietti conservatori e i boomer europei miagolano già inneggiando alla cancel culture, ho come l’impressione che a questa nuova, forte generazione femminista importi meno di zero delle lamentele democristiane di categorie di persone che non hanno mai protetto dalla violenza o fatto qualcosa per arginare il fenomeno.

Ho l’impressione che proprio lo scontento che arriva da anni in cui la svolta progressista sembrava vicina dopo i due movimenti citati qualche riga fa, unito a un gigantesco menefreghismo istituzionale di tutto l’Occidente, abbia lasciato ben poca scelta a chi subisce violenza. Ovvero: organizzarsi da soli, fare mutualismo dal basso e rispondere alla violenza senza abbassare più il capo.

Sono particolarmente impressionata dalla veracità e assoluta determinazione di questa risposta alla chiusura conservatrice che arriverà con la nuova presidenza Trump. Ne sono impressionata perché da noi, che non viviamo tempi molto dissimili, la risposta è stata molto diversa.

Siamo ancora nella fase in cui, crisalidi, condanniamo le risposte maleducate alle minacce e agli insulti misogini. Siamo ancora nella fase in cui d’aborto non ci si preoccupa molto, perché forse pensiamo che la legge 194 ci protegga, quando invece è ormai quasi del tutto inapplicata. Siamo nella fase in cui l’interesse è sempre altrove, perché tanto pensiamo che qualcuno alla fine ci salvi il culo – o l’utero, o il matrimonio ugualitario, o l’omogenitorialità, o la possibilità di manifestare o l’accessibilità al lavoro – eppure mi sembra ormai molto chiaro che non andrà così.

I movimenti frammentati, la sterile critica che vuole il digitale come superficiale, le piazze poco partecipate, le attiviste e i movimenti dal basso che si occupano di aborto e mutualismo lasciati soli, gli intellettuali spariti in una nuvola di fumo. In Italia abbiamo più paura del giudizio dei compagni che dell’estrema destra e questo ha frenato la nascita di una nuova ondata di femminismo esplosiva come quella statunitense.

Non so cosa succederà nei prossimi quattro anni di presidenza Trump. Una cosa però so per certo: la brutta figura a livello mondiale che ha fatto a poche ore dall’elezione e i riflettori di tutto l’Occidente puntati sulle politiche discriminatorie e violente del Project 25 saranno un deterrente non da poco alle derive reazionarie che ci si aspetterebbe.

So per certo anche un’altra cosa. Negli Stati Uniti il femminismo di quella che a tutti gli effetti sembra essere una nuova ondata è trainato dalle giovani donne nere e dalle persone trans. Le giovani donne bianche, che hanno saputo decolonizzare il proprio sguardo, sono scese al loro fianco, creando un fronte coeso che dimostra di aver imparato la lezione più importante della distopia ideata da Margaret Atwood e che sta diventando realtà per gran parte del mondo Occidentale. Questo nuovo movimento lo ha imparato bene: Nolite te bastardes carborundorum, non lasciare che i bastardi ti annientino. Chissà quando anche noi, nella vecchia Europa, glielo impediremo.

ARTICOLO n. 93 / 2024