ARTICOLO n. 84 / 2022

MIA MADRE RIDE

Traduzione di Giorgia Tolfo

Pubblichiamo un’anticipazione da Mia madre ride (La Tartaruga), un diario-memoir della cineasta belga Chantal Akerman. Da oggi in libreria. 

Ho scritto tutto e ora non mi piace più quello che ho scritto. L’ho fatto prima, prima della spalla rotta, prima dell’operazione al cuore, prima dell’embolia polmonare, prima che mia sorella o mio cognato mi chiamassero perché le dicessi addio (per sempre). Prima che tornasse a casa a Bruxelles per l’ultima volta. 

Prima che ridesse.
Prima di accorgermi che forse avevo frainteso tutto.
Prima di accorgermi che la mia non era che una visione limitata e inventata. Che non sono capace di altro. Della verità, e nemmeno della mia versione della verità. 

Per ora mia madre è viva e in buona salute. Così dicono tutti, e tutti pensano anche che sia in forze e che non si capisce come abbia fatto a sopravvivere.

Ha male dappertutto, ma i capelli le sono ricresciuti. Un miracolo. Ha ripreso peso. Riesce persino a cavarsela con un braccio rotto. Bisogna ancora aiutarla a vestirsi e a spogliarsi, a tagliare la carne e a spalmare il burro sul pane. E non riesce più ad andare a passeggio da sola, il che è un vero peccato. Per fortuna c’è Clara, che vive con lei, ma dall’altro lato dell’appartamento, così ognuna ha il suo spazio. Clara è messicana. È la sorella di Patricia, la donna delle pulizie. 

A Natale e Capodanno organizzano delle feste e invitano mia madre. Mia madre dice che non le interessano né Natale né Capodanno, ma che le fa comunque piacere essere invitata e che le messicane sanno come creare l’atmosfera, e lei adora una certa atmosfera. Torna a casa da quelle serate con le guance rosse e gli occhi che brillano. 

Ride spesso mentre si lamenta. Sa ancora come divertirsi.

La ascolto ridere. Ride per delle sciocchezze. Sono sciocchezze, ma hanno un grande valore. A volte ride persino al mattino.

Si sveglia stanca, ma si prepara comunque per la giornata. 

Sono tornata da New York per passare qualche giorno con lei. 

E non so come mai o perché, ma mi lascia vivere così come sono.

Sembra che il mio disordine non la disturbi più. Sembra che non lo noti nemmeno. Lo accetta. Mi accetta come sono. Non è stato sempre così, ma da quando ha visto la morte avvicinarsi e l’ha scampata, è cambiata. Riconosce cosa è importante e che cosa non lo è, e mi accetta. 

A volte mi racconta ancora di quando sono nata e del fatto che non potessi poppare il suo latte e di come fosse terribile stare a guardare la propria figlia indebolirsi. Un giorno però ha trovato un tipo di latte che potevo bere. Chissà cosa sarebbe successo se non lo avesse trovato. 

Poi ride.
Adoro ascoltare la sua risata.
Dorme molto, ma ride. Si diverte. Poi dorme.

Ha persino accettato la sua età. Sa che deve dormire al centro del letto per non cadere durante la notte. Sa che deve lasciare una luce accesa nel corridoio che porta al bagno. Sa che c’è una persona che dorme dall’altro lato della casa, non troppo lontano, in caso di bisogno. Sa tutto questo e le va bene. Le piace. Le piace vedere apparire Clara. Le piace parlare e ridere con lei. Sembrano due amiche che si conoscono da sempre.

È stata un’idea di mia sorella. Ha capito che mia madre non ce l’avrebbe fatta a continuare a vivere da sola, così Clara è venuta in Belgio con lei e per ora sta andando tutto bene. 

Le piacciono i messicani, cioè la sorella di Clara e i due figli che ogni tanto vengono a trovarla e si fermano a mangiare con lei. Sono calorosi e ridono con lei. La fanno star bene bene. La fanno stare così bene che non riesce a starne senza. D’altronde, le è sempre piaciuto avere ospiti. Persino l’idraulico che è venuto con la figlia. Avevo trascorso la notte intera a svuotare secchi perché dall’appartamento al piano di sopra veniva giù acqua. È stato un vero e proprio evento, e lei ne è andata pazza, benché si chiedesse perché fosse successo e si ripetesse che il palazzo stava invecchiando male e che sperava che non le sarebbe costato troppo perché viveva con poco e se avesse dovuto pagare le riparazioni oltre a tutto il resto non avrebbe saputo cosa fare. 

Sa che può contare sulle figlie, ma non lo fa volentieri. Non le piace chiedere. Vuole cavarsela con quello che ha. Che è poca cosa. Ha lavorato a lungo per mio padre, ma non era sull’elenco della busta paga. Perciò se la deve sbrogliare con la pensione tedesca e con quella da prigioniera di guerra. E con un appartamento che mio padre mi ha comprato perché avessi qualcosa. 

A volte l’appartamento lo affittiamo per ricavare qualcosa in più, ma non molto perché non è in buono stato e dunque non ci perdiamo tempo. 

Quando l’idraulico è arrivato con la figlia, si è talmente innamorata di quella bambina con le trecce da esserne sopraffatta. Era una scena così bella e la bambina era calma e sorridente. Mia madre le ha dato del succo d’arancia.

L’idraulico ha fatto un rumore terribile con un attrezzo speciale per sturare i tubi, ma ha risolto il problema e non ho più dovuto passare la notte col secchio. 

L’idraulico le ha detto che il problema si sarebbe potuto ripresentare perché i tubi erano vecchi. Mia madre ha detto vedremo. Ogni cosa a suo tempo. Si è detta che se succederà tra dieci anni allora dovrà essere mia sorella a occuparsene perché io non ho senso pratico. Eppure ero stata io a chiamare l’idraulico a Natale e l’idraulico è venuto. Ha riso.

Fa fatica a uscire dal suo appartamento. Non esce quasi più quindi non parla d’altro che di questo, cioè di uscire, ma fuori è scuro e umido, è inverno. E sa che essendo stata così debilitata l’umidità le può far male. Ma anche quando è meno umido, il che a volte succede a Bruxelles a dicembre, lei non esce. 

Va solo in terrazza e si ferma là. Guarda il giardino desolato del piano terra, guarda il gatto, guarda il cane. Vede la sdraio che si è ribaltata per il vento che quando soffia si tira dietro tutto. Ma a parte questo non c’è nessuno in giardino. I bambini non ci sono più. Sono sicuramente dentro. Quando tornerà la primavera li rivedrà e sarà felice. Aspetta la primavera. Sa che arriverà e sa che sentirà gli uccelli volare. Li adora. 

Io non ci riesco. Non riesco ad aspettare la primavera. Sono immersa nell’inverno con le sue nuvole scure e pesanti che non sembrano mai andare via.

Mi sembra che stia per finire, ma non finisce.

Non so che cosa farò, dove andrò a vivere o se andrò da qualche parte. Ma so che andrò a Parigi, nel mio appartamento. Ho un appartamento. Un posto tutto mio. Si dice così, un posto mio. 

Ma non sento di avere un posto mio, o un posto in generale. Un posto dove sentirmi a casa. 

A volte mi dico andrò in hotel, sarà il mio rifugio lontano da casa e là potrò scrivere. 

Ho riletto tutto quello che ho scritto e mi ha profondamente delusa. Ma cosa ci posso fare, l’ho scritto. Eccolo qua.

A volte mi dico che se lo riprendo in mano forse mi deluderà meno. Ma nei mesi in cui non sono riuscita a fare nulla ho continuato a ripetermi presto ricomincerò a scrivere, o riprenderò quel che ho cominciato e tutto andrà per il meglio.

© 2022 Baldini+Castoldi s.r.l. La Tartaruga 

ARTICOLO n. 93 / 2024