ARTICOLO n. 62 / 2024

MELONI, PISTA E FICHI

Differenze tra propaganda e comunicazione

“Piaccia o no, Meloni dà una pista a tutti”. Questo è un estratto dall’intervista a Cathy La Torre, avvocata paladina dei diritti LGBTQ+ e delle istanze progressiste, su Il Foglio

Cerco di capire cosa non vada in questo trafiletto che profuma di endorsement al Presidente del Consiglio, che fino a qualche settimana fa sembrava essere nemica (nemico? Meloni mi perdoni il misgendering, ma la scelta dei pronomi qui non è ancora molto chiara) giurata numero uno degli ideali a cui anche La Torre si ispira per il proprio lavoro di content creator.

Gli avvocati di Avvocathy (cit. @Odiodiclasse) mi perdoneranno in questo mio esercizio del diritto di critica (e satira, non so essere troppo seria in questo mio incipit), ma non posso davvero credere alla buonafede della loro assistita nel rilasciare tale intervista. Infatti, il risultato della chiacchierata con Gottardi su Il Foglio è un chiarissimo esempio di cerchiobottismo liberale che fa più danno che altro e che arriva talmente all’improvviso da lasciare di stucco perfino il giornalista, che finisce egli stesso per perculare La Torre, cito: “Fermiamoci un attimo prima che l’avvocata La Torre si iscriva a Fratelli d’Italia”.

Nel breve pezzo, le quattromila battute più autosabotanti dell’anno, La Torre elogia la capacità comunicativa di Giorgia Meloni, che sarebbe una “fuoriclasse” dell’ars oratoria della politica nostrana. Per La Torre infatti, Meloni sarebbe un esempio per moltissime persone e la sua parlantina sarebbe magnetica ed efficace. Vabbè che gli standard di professionalità in ambito politico qui in Italia sono bassi, ma manco a far così. 

Credo infatti sia opportuno fare un piccolo approfondimento proprio sulla scelta politica delle parole (dalla campagna elettorale in poi) adottata da Meloni e dal suo partito, per comprendere appieno quanto queste poco abbiano a che fare con la “comunicazione” e quanto invece abbiano il sapore inconfondibile della propaganda di regime. Già, perché se non fosse chiaro, quello del governo Meloni ha tutti i connotati per chiamarsi in questo modo: criminalizzazione del dissenso, uso della forza tramite il braccio armato dello Stato, cancellazione delle marginalità con limitazione dei diritti fondamentali di intere comunità, controllo dei corpi, controllo dei mezzi di comunicazione, finanziamento dell’esercito israeliano, accordi con la cosiddetta guardia costiera libica, silenzio stampa su vicende al retrogusto di MSI e una spietata quanto irriverente apologia di fascismo commessa a giorni alterni.

In questo quadro che ha qualcosa dell’autarchia e qualcosa dell’assolutismo, la comunicazione non basta per sedare gli animi dei cittadini. Serve invece la propaganda, ovvero una serie di espedienti tesi a ribaltare l’ovvietà dei fatti mistificando la realtà e i reali interessi che ha questo governo, per convincere l’elettorato attivo e smuovere quello potenzialmente passivo. Per vedere rinnovato con legalità un incarico, una fiducia in un modus operandi che non potrebbe mai passare come innocuo se raccontato con la spietatezza che invece lo contraddistingue.

La propaganda viene dunque in soccorso di Meloni, che già in campagna elettorale aveva cercato di mitigare l’estremismo post-fascista delle sue intenzioni usando la triade rassicurante per eccellenza: mamma / donna / cristiana.

Con questo motivetto amabile, FdI ha raggiunto anche gli elettori più restii nell’abbracciare istanze violente e discriminatorie, rassicurati da una parvenza di cura che poi avrebbe ritirato fuori all’occorrenza per stemperare le critiche all’operato del primo partito nazionale: Meloni-madre è stata ed è un personaggio propagandistico centrale nello sviluppo e nella radicalizzazione delle politiche sempre più estreme di questo governo.

Mentre in Italia la premier sceglieva questo andazzo rassicurante, ospite in Spagna per i fratelli di Vox si lasciava andare invece a dichiarazioni ben più frizzantine quali “Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT, sì all’identità sessuale, no all’ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte”. E ancora, mentre in Italia lasciava fare il lavoro sporco ai suoi scagnozzi, da Roccella ai vari parenti inseriti nell’esecutivo, bloccava con il sorriso rassicurante di una madre il diritto di due madri di poter riconoscere i propri figli. O ancora, di poter accedere alla maternità surrogata.

Mentre sfilava diritti e inaspriva le pene, ci raccontava una storia che non corrisponde al reale: Meloni non è mai stata una che, come invece dichiara La Torre, condanna con fermezza gli attacchi omolesbobitransfobici. Meloni è una che DEVE farlo, non che vuole. E mentre lo fa, impedisce la transizione a centinaia di giovani ragazzi, firma leggi che controllano i corpi della comunità, disconosce l’omogenitorialità, promuove il razzismo, dirotta navi di ONG in porti lontani centinaia di chilometri per giocare partite a braccio di ferro con l’Europa sulla pelle delle persone migranti, fa presidiare tramite i suoi fedelissimi di Pro Vita e famiglia i consultori del paese rendendo spesso impraticabile l’interruzione volontaria di gravidanza, ignora i fondi destinati alla prevenzione della violenza maschile contro le donne, accusa pubblicamente una pugile di non essere ciò che è contrapponendo le “vere donne” a tutte le altre, criminalizza le ONG che salvano vite in mare mentre stringe accordi con chi tortura e uccide.

Mentre questo piano di orbanizzazione con la camicia nera va avanti, si confeziona insieme al suo sapiente ufficio stampa un pacchetto di informazioni falsate e perentorie, frasi fatte e facilmente memorizzabili che possono essere rese tormentone, che nessuno verifica mai, complice anche un analfabetismo funzionale devastante, sia a destra che a sinistra.

Fa leva sulle paure ataviche delle società capitaliste, instillando il dubbio nel diverso, allontanando l’arricchimento e il progresso rievocando un passato che dolce non è mai stato, ma che ci vuol far credere sia così.

Meloni e i suoi hanno capito esattamente come far breccia nelle fragili convinzioni di un elettorato – anziano e lontano dalla velocità e attualità delle nuove generazioni – che si trova a votare chi tra i vari politici fa la voce più grossa. 

La propaganda fa leva sulla paura del diverso, sulla punizione e sulla promessa di un futuro florido che non verrà mai mantenuta.

La propaganda di per sé non è una comunicazione politica canonica ed efficace proprio perché è il mezzo che hanno i regimi per convincere che tutto quello che avviene sotto al loro dominio sia giusto e rassicurante. Mentre, nella pratica, si va esattamente nella direzione opposta.

La differenza tra comunicare politicamente qualcosa di reale e fare propaganda sta tutta qui: delle parole vuote noi categorie marginalizzate ce ne sbattiamo il cazzo, soprattutto se queste sono accompagnate da provvedimenti che ci limitano la libertà a esistere.

Per questo mi fa incazzare da morire che si faccia un endorsement di questo tipo a un personaggio come Meloni, che del soffitto di cristallo fa suo rigidissimo scudo. 

Non c’è niente di autentico in quello che il Presidente ci comunica ogni giorno, e che a non rendersene conto siano persone che mi aspetto abbiano gli strumenti per riconoscere questo meccanismo disumano mi spaventa non poco.

Se poi questo sia un tentativo di mettere piede in qualche progetto o programma ministeriale a me non interessa, ognuno di noi si vende a chi preferisce almeno una volta nella vita. 

Ma che lo si faccia con tanta scelleratezza, passando sopra la sofferenza di intere categorie che probabilmente si sentivano rappresentate e al sicuro nel leggere le parole scritte da La Torre ogni giorno sui suoi social, mi disturba.

Perché queste sviolinate me le aspetto da Silvia Grilli, non da chi mette i diritti davanti a ogni cosa.

Volevo e ci tenevo a esprimermi su questo argomento perché ora più che mai dovremmo avere chiari sia gli intenti del governo Meloni che l’inadeguatezza del liberalismo del PD. 

E mi duole vedere che anziché reagire con una radicalizzazione si voglia invece finire a tutti i costi nel buonismo anche davanti all’evidenza. Evidenza che fa schifo e soprattutto paura. 

Ci tenevo a esprimermi perché penso che a volte mettere le cose nero su bianco e fare un’analisi un po’ più approfondita in risposta ai vari “non mi avete capita” e del “parlavo di comunicazione, non di politica” possa servire davvero a non reiterare questi terrificanti autogol in un momento così delicato per chi vive o sosta in Italia.

Ci tenevo a esprimermi qui, perché posso ancora farlo. E in un regime mica è scontato.

E finché potremo farlo, dovremmo ribadirlo con rinnovato orgoglio: la propaganda meloniana è roba da fascisti, non da fini comunicatori. 

Non vederlo è marchetta, o semplicemente liberalismo.

Non mi esprimerò invece sulla scelta di quella foto con la maglietta di Murgia, perché se dovessi davvero dire cosa penso del personal branding fatto con i morti dovrei bestemmiare. E so che questo, a Murgia, avrebbe dato molto fastidio.

ARTICOLO n. 65 / 2024