ARTICOLO n. 87 / 2024
Di Montag
MARVIN: UNA COLLETTIVITÀ IBRIDA
conversazione collettiva
MONTAG: La nostra domanda di rito è sempre questa: vi riconoscete nella definizione di “collettivo”? Per introdurla vogliamo partire da alcune vostre dichiarazioni. Dal vostro sito: «Crediamo nella creazione di un ambiente collettivo come valore aggiunto all’atto di scrivere». E poi, dall’ultima call, quella in cui avete lanciato l’idea di una residenza per redigere l’ottavo numero della rivista: «Questo esperimento è uno sviluppo ulteriore della nostra originaria idea di rivista come spazio per esplorare la collettività». A queste citazioni vogliamo aggiungerne un’altra, che è un po’ il vostro motto, e vorremmo chiedervi se è in contrasto con le altre o se invece ne è la chiave di lettura: «Siamo una redazione occasionale».
MARVIN (Martina): Non ci definiamo propriamente un collettivo, anche perché siamo nati come rivista e la struttura della redazione descrive abbastanza bene quello che cerchiamo di fare. Ciò che stiamo proponendo negli ultimi anni è piuttosto creare uno spazio in cui dare origine a delle collettività, da una parte promuovendole, avallandole, dall’altra dando spazio a quelle che noi chiamiamo “redazioni occasionali”, ovvero quei momenti in cui, durante la composizione della rivista, selezioniamo autori e autrici e creiamo un gruppo di lavoro, un collettivo.
MARVIN (Beatrice): L’approccio al concetto di collettività si può pensare un po’ come un caleidoscopio, in cui i frammenti di volta in volta si riuniscono in figure e simmetrie per poi scomporsi e crearne di nuove. Non è qualcosa di fisso, ma è molto più fluido. L’idea è di creare di volta in volta dei gruppi di lavoro che partano dai testi, li elaborino, li discutano in un editing reciproco e dinamico, generando così uno scambio e infine approdando a un risultato che è una rivista completamente diversa, o comunque nuova, rispetto a quella che era all’origine della call. E quindi: creare sempre significati nuovi con persone che di volta in volta si incontrano, per poi separarsi, ma senza perdersi, attivando un circuito di interazioni che restano costanti nel tempo. Sta succedendo con molti degli autori con cui abbiamo lavorato.
MARVIN (Flavio): È vero, quasi tutte le persone che sono entrate nell’orbita di Marvin ci sono rimaste, in un modo o nell’altro. Ci sentiamo di aver creato qualcosa di buono quando vediamo che queste connessioni acquistano senso (che potrebbe anche voler dire semplicemente che la gente sta bene per una sera). E in più c’è il discorso sulla scrittura, che di norma è un’attività solitaria, ma che può anche essere altro, una comunità. Si recupera l’idea della scrittura come trasmissione di contenuti, di conoscenze, uno scambio di opinioni.
MONTAG: In effetti questo vostro modo di intendere la collettività ibrida anche i ruoli, perché scrittori e scrittrici diventano editor per racconti altrui e voi stessi cambiate posizione, tra redazione della rivista, autori, editor.
MARVIN (Martina): Un elemento obbligatorio per partecipare alla rivista è accettare implicitamente, mandando i racconti, che se verrai selezionato o selezionata, non sarai soltanto autore, ma anche redattore. È un elemento che noi inizialmente abbiamo inserito perché ci divertiva l’idea che ognuno avesse entrambi i ruoli.
Dopo poco ci siamo resi conto che gli autori apprezzano moltissimo il fatto di essere messi sullo stesso piano. Comunque, avere il proprio racconto letto da altre persone non è facilissimo. Nell’editoria tradizionale o anche nelle riviste ci sono degli editor fissi, e l’editor è la persona che si incarica di scegliere il racconto e lavorarci su. Noi, invece, volevamo scombinare la gerarchia per creare un momento in cui fosse possibile anche abbassare le difese.
MARVIN (Flavio): In ogni edizione ci troviamo in un posto diverso di questo triangolo che avete disegnato. A seconda di come va capiamo quanto dobbiamo o vogliamo intervenire, quanto sia necessario che facciamo qualcosa. Naturalmente dipende anche dall’alchimia che si crea tra autori e autrici. Il nostro supporto c’è sempre, però alcune volte è maggiore, alcune volte minore, a seconda dei casi.
MARVIN (Beatrice): Penso all’occasione che ha fatto conoscere Marvin e Montag, quando ci siamo trovati a pubblicare un racconto nello stesso numero. Ecco, quello per me è l’esempio perfetto: mi trovavo a cavallo tra tutti questi ruoli e mi è servito moltissimo per crescere sul fronte della scrittura, perché mi trovavo in una posizione inedita e allo stesso tempo paritaria. Ricevi un consiglio da una persona che, esattamente come te, sta cercando di sviluppare la propria voce, lo stile, e si sta esercitando a comprendere le dinamiche di una storia. Poi subentrano una serie di scambi con persone con cui continui a sentirti, di cui poi segui la crescita, le pubblicazioni, insomma il percorso. Si creano dei legami perché la posizione in cui ti trovi è quella di una persona che si sta aprendo, il momento di condivisione di una storia scritta da te è un momento in cui ti senti profondamente esposta, ed è proprio da questa consapevolezza che deriva la cura che avrai per gli altri: l’approccio che adotterai potrà senz’altro essere critico, ma mai aggressivo o violento.
MARVIN (Flavio): Il fatto stesso di lavorare da editor sui testi degli altri ti aiuta a prendere coscienza anche del tuo modo di scrivere. Non solo per quanto riguarda quello specifico racconto, ma anche per ciò che scriverai dopo. Ti permette di sviluppare un approccio diverso, anche perché non è detto che chi scrive sia un editor – anzi, nella maggior parte dei casi non è così. Però acquisire delle conoscenze di editing è importante anche per capire cosa vuoi scrivere e, soprattutto, come vuoi scriverlo.
MONTAG: Ci piace questa visione della rivista che diventa quasi un sistema solare, attorno cui orbitano una serie di astri. Magari alcune sono meteore che passano e poi non si incontrano più. Però poi ci stanno anche dei pianeti che rimangono fissi attorno alla rivista. E proprio questa cosa dell’orbitare attorno, dello stare insieme, del fare sistema, del costruirsi insieme, la vorremmo utilizzare da ponte per poi arrivare a parlare di lavoro, che è una cosa bruttissima, però precedendolo con una cosa bella. Grazie a questo vostro modo di fare rivista fate anche amicizia. Questo su un livello di politica dell’agire collettivo è fondamentale come termine da inserire nel discorso letterario e creativo. In che maniera sentite che struttura la vostra visione della rivista nel futuro, nei vostri progetti, nelle cose che vorreste fare.
MARVIN (Martina): Noi ci consideriamo amici a prescindere dalla rivista e penso che probabilmente lo siamo diventati grazie a Marvin. Io, Flavio e Laura siamo stati i primi a iniziare questo progetto, eravamo persone con una certa affinità che però si conoscevano relativamente poco, quindi definirci amici era troppo, ma poi lo siamo diventati.
Poi è entrata Bea e noi avevamo già creato questo ambiente in cui la complicità, l’amicizia o in generale la fiducia nell’opinione dell’altro erano centrali. Ci sono opinioni diverse tra di noi, anche abbastanza polarizzate, ma il fatto che abbiamo totale fiducia gli uni negli altri e diamo estremo valore all’opinione altrui ci permette di far sì che questi conflitti siano in qualche maniera costruttivi, e ne usciamo tutti in un modo o nell’altro cresciuti.
MARVIN (Beatrice): Parliamo di qualcosa che non ha uno scopo di lucro, non ci porta guadagni che non servano ad alimentare in modo circolare il progetto, qualcosa in cui però investiamo volentieri le nostre energie. Ma non siamo masochisti, sappiamo di farlo perché ci piace riunirci, stare insieme, ci diverte quello che andiamo a creare e questa è la base. L’amicizia. Perché la cosa fondamentale comunque è trovarsi bene con le persone e stare bene nel fare certe cose. Questo determina anche le evoluzioni che la rivista ha subìto. All’inizio si trattava solo di pubblicare racconti, ma c’è stato un periodo in cui è stata anche un blog culturale che in seguito abbiamo messo da parte. Semplicemente ci muoviamo in base a ciò che ci accende e ci appassiona. Quando qualcosa smette di essere stimolante la rivista cambia pelle. Marvin sarà adesso anche un’associazione, e creerà momenti di aggregazione, come letture collettive al parco, presentazioni, partecipazioni ai festival: alla base c’è sempre il fatto che per noi è entusiasmante stare insieme, anche con le persone che hanno orbitato attorno a noi e che continueranno a farlo.
MARVIN (Flavio): Abbiamo delle sensibilità diverse rispetto ai racconti, è vero: c’è chi è più attento allo stile, chi alla costruzione del racconto, chi ai personaggi, e questo ci permette di essere completi, insieme. Sul discorso dell’amicizia, va detto che ci sono stati momenti di stanchezza della rivista, in cui ci siamo domandati: se Marvin cambiasse forma o addirittura chiudesse noi resteremmo comunque amici? La risposta è stata sempre sì.
MARVIN (Martina): Sarebbe bruttissimo altrimenti, orribile, orribile. Ai miei compleanni ci sarebbero pochissime persone.
MONTAG: Ve l’abbiamo chiesto proprio perché anche noi è su questo principio che abbiamo creato il collettivo e abbiamo parlato molto di quale spazio ci sia per questo tema nel mondo letterario, editoriale, nelle riviste, nelle agenzie.
MARVIN (Martina): Come dicevamo, Marvin ti mette spesso in una condizione di esposizione personale molto profonda, quindi forse è anche naturale che i rapporti non riescano a rimanere superficiali. Questo discorso vale anche, e forse in maniera particolare, nel caso della residenza che abbiamo tenuto per l’ultimo numero che verrà pubblicato a settembre. Ovviamente non so se gli autori siano diventati amici fra loro, però sono abbastanza sicura che un legame si sia creato.
MONTAG: Oltrepassiamo il ponte dell’amicizia e parliamo invece di lavoro. Come si pone Marvin rispetto al contesto delle riviste italiano in questo momento e cosa può dare al mondo editoriale? Sia nel micro, per esempio nel fare alleanza, conoscere altre persone che fanno riviste, nell’ambiente romano o in generale in quello italiano, ma anche nel macro, per esempio rispetto a contesti e realtà molto più grandi della vostra. Insomma, come vedete il mondo delle riviste oggi?
MARVIN (Flavio): Rispetto alla scena romana delle riviste, che è quella che viviamo di più, percepiamo una fase di disillusione. Quel movimento che si era creato qualche anno fa si è un po’ disgregato per una serie di motivi e perché comunque le riviste, nel momento in cui non mutano forma, chiudono. A complicare la situazione c’è un ambiente editoriale che, quando vuole, sa essere un posto molto cinico, in cui snobbare libri e scrittura fa più fico che parlarne, una tendenza che non crea l’ambiente giusto per la nascita di nuove idee. Direi quindi che Marvin è stato, prima di tutto, un modo sano di vivere l’editoria e in secondo luogo, naturalmente, un mezzo per conoscerla meglio. Con il tempo abbiamo capito anche quale fosse il nostro posto all’interno di questo mondo, realizzando per esempio che l’essenza di Marvin erano i racconti.
MARVIN (Martina): Penso che Marvin segua traiettorie diverse rispetto a quelle di riviste dalle spalle più grandi. Oltre ad avere un sistema di supporto economico imparagonabile al nostro, abbiamo altri obiettivi e rispondiamo ad altre necessità, che non sono obbligatoriamente in contrasto ma solo diverse. Quando abbiamo deciso di abbandonare il blog culturale perché non ci divertiva più e ci siamo concentrati sulla realizzazione di una residenza, su cui fantasticavamo già dal 2020, ci siamo in qualche modo riappropriati di un percorso. Siamo nati in un periodo di fervore meraviglioso: nel pieno della pandemia tutto quello che era online aveva un vigore molto diverso. E appena usciti dalla pandemia, c’è stato il momento in cui tutti volevano stare insieme. Noi abbiamo vissuto quella wave, ce la siamo presa tutta. Adesso ci rendiamo conto che quel tipo di entusiasmo sta svanendo, come è fisiologico per questo tipo di realtà.
MONTAG: Infatti il discorso è proprio ragionare su quale rapporto può esserci in un sistema dove sembra ci siano solo gli estremi, o la piccola realtà o la grandissima realtà con fondi importanti alle spalle.
MARVIN (Martina): Penso che a volte anelare a diventare la grande realtà sia anche uno dei motivi per cui certi spazi chiudono, perché non si riesce a essere né carne né pesce. Credo che noi lo abbiamo evitato nel momento in cui ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti: ma quello che stiamo facendo ci sta piacendo davvero? O lo stiamo facendo perché vogliamo diventare qualcos’altro?
MARVIN (Flavio): Aggiungo un punto: le riviste indipendenti hanno una libertà che altre realtà più grandi non si possono permettere di avere, nella selezione dei contenuti e soprattutto nei racconti. Il fatto che noi possiamo pubblicare qualsiasi autore o autrice, basta che ci piaccia, è una forma di indipendenza molto grossa che non vogliamo perdere. Diventando più grandi si entra inevitabilmente all’interno di altre dinamiche.
MONTAG: Tutti quanti avete menzionato varie volte la scelta di aver abbandonato la parte del blog. Vorremmo chiedervi come si vive all’interno di una rivista l’idea di cambiare o anche rinunciare a una strada. Per esempio, Marvin nasce dall’idea di scrivere racconti a partire da tre elementi diversi per ciascun numero e quell’idea è rimasta fino a oggi.
MARVIN (Martina): È una domanda che ci poniamo spesso, perché l’espediente dei tre elementi (un personaggio, un luogo, una frase) è uno stimolo ma anche un limite. E la risposta che ci siamo dati è che crediamo veramente che questi limiti possano essere utili dal punto di vista creativo, un confine dentro il quale giocare. Ed è bello rendersi conto che all’interno del numero, tra i vari racconti, c’è una coerenza.
MARVIN (Beatrice): La chiave delle metamorfosi di Marvin dipende proprio dal “finché ci diverte va bene”. Finché questa cosa continua a farci dire ok, ci piace farlo, ok, così funziona, noi proseguiamo. Ma diamo molto ascolto anche ai feedback, proprio per la questione della collettività, del fatto che ci teniamo a creare una comunità reale, e, se ci rendiamo conto che questa scelta inizia a perdere di efficacia, allora possiamo ripensarci. L’unica cosa irrinunciabile è questa: lo scambio costante di persone intorno all’atto dello scrivere. La questione dei tre elementi (finora) ha sempre funzionato, sia sul fronte della creatività sia nel favorire una coerenza maggiore (all’interno del numero e della redazione), perché ciascuno si confronta sul modo in cui ha scelto di usare la parola: ci sono nomi che a volte vengono interpretati come verbi (penso al personaggio “modella” del numero in cui eravamo insieme, qualcuno l’ha usato come professione, qualcuno come azione), luoghi che diventano totalmente metaforici e così via. E la cosa più interessante è scoprire quali meccanismi sono scattati nella testa degli altri, i modi diversi in cui gli elementi sono risuonati e si sono combinati in ciascuno.
MONTAG: Invece, qual è il vostro rapporto con gli altri media? A parte il fatto che siete nati online e che siete attivi sui social, avete creato rubriche come “Marvin guarda” sui film, ma soprattutto a ogni numero associate una playlist e ogni racconto all’interno del numero fa da spunto per delle illustrazioni di artisti visivi.
MARVIN (Martina): Quello che vorremmo fare in futuro è spostarci sempre più dall’online e dai social per incontrarci di persona. Sappiamo che è un obiettivo molto ambizioso e non vogliamo neanche risultare escludenti, perché noi viviamo a Roma, quindi in un grande centro pieno di risorse. Ma sappiamo benissimo cosa significa vivere in centri minori dove l’offerta culturale è meno variegata. Quindi ovviamente non abbandoneremo gli incontri online, ma se potessimo offrire a tutti un biglietto per conoscerci dal vivo lo faremmo.
MARVIN (Beatrice): Per quanto riguarda gli altri media, penso che li abbiamo incontrati in maniera tangente, all’epoca del blog, trattavamo in maniera più estesa anche il cinema o organizzavamo cineforum e dibattiti. La parte musicale è invece stabile, perché la playlist (di Johannesburg) è sempre presente nella rivista, anche in quella cartacea. Marvin è un prodotto che vuole essere ibrido, ibrido anche nel prendere persone diverse e metterle in contatto. E queste persone spesso provengono da media diversi: nel prossimo numero uno degli autori è in primo luogo sceneggiatore. Questa è una cosa bellissima. In questo modo possiamo intercettare sia chi ha pubblicato con moltissime riviste, e che quindi è parte integrante della bolla, sia chi ha pubblicato un racconto per la prima volta. Per questo motivo, nell’ultima call, abbiamo voluto tutti i racconti in anonimo, proprio perché non volevamo farci influenzare dal nome. Inoltre Marvin è una rivista illustrata: dalla copertina ai singoli racconti, ogni parte è corredata da immagini che sono frutto dell’ingegno di illustratrici e illustratori selezionati e invitati a collaborare per potenziale affinità con la storia.
MARVIN (Flavio): Potremmo metterla così: la nostra visione dei media è orizzontale e non gerarchica, nel senso che abbiamo sempre messo letteratura, cinema, musica sullo stesso piano.
MONTAG: In chiusura, cosa bolle in pentola? Cosa c’è all’orizzonte per Marvin?
MARVIN (Beatrice): Innanzitutto il nuovo numero, sempre frutto della collaborazione con Bahut, lo studio grafico che ci segue da già due edizioni e che ha dato a Marvin la forma che vedete oggi. E in generale, partecipazioni a eventi dove sentiamo che la sensibilità è simile alla nostra.
MARVIN (Martina): In qualche modo, portare le “redazioni occasionali” all’interno di nuovi ambienti accoglienti. Aggiungerei che siamo diventati un’associazione, che ci siamo resi conto essere la forma che definisce meglio il percorso di cui parlavamo. E sicuramente replicare la residenza di scrittura, che abbiamo inaugurato quest’anno e ci ha dato nuova linfa vitale.
MONTAG: In realtà vogliamo farvi un’ultimissima domanda: ci suggerite tre o quattro libri che ci vorreste consigliare in quanto Marvin?
MARVIN (redazione): Be’, potremmo dirvi Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, perché la nostra rivista prende il nome proprio da lì, dal robot depresso Marvin. Poi Gli interessi in comune di Vanni Santoni, perché racconta di gruppi di persone che condividono delle passioni, e perché è uno dei primi libri che abbiamo portato al nostro club di lettura. Ma anche Il cornetto acustico di Leonora Carrington; c’è forse bisogno di spiegare il perché? E infine, naturalmente, il romanzo d’esordio dei Montag.