ARTICOLO n. 95 / 2024

LA TRAPPOLA DELLA FAMIGLIA

Qualche giorno fa sono stata in un centro estetico aperto da poco nel mio quartiere per fare una semplice manicure. Ancora prima di chiedermi il nome o rivolgermi le consuete frasi di cortesia usate un po’ per rompere il ghiaccio, un po’ per evitare che si generi il classico silenzio imbarazzante tipico di questi frangenti, l’estetista mi ha sorpreso con un paio di domande inaspettate: «Sei sposata? Hai figli?». Credo abbia percepito il mio disappunto dalla risposta sbrigativa che le ho dato – «no, per entrambe le cose» – ma anche per il malcelato tentativo di riportare la conversazione su tematiche ben più neutrali («il salone è molto bello! Quando lo hai inaugurato?»).

Le incursioni nella vita privata delle donne non costituiscono di certo una novità. Una ricerca effettuata nel 2023 da una piattaforma che si occupa di fornire assistenza e orientamento lavorativo che ha coinvolto un campione di circa mille donne, ha sottolineato come a più della metà siano state posti quesiti discriminatori inerenti partner, figli o desideri di maternità.

Nel lungo percorso che ci porta ad esplorare i miti che hanno contribuito a sedimentare un certo ideale di femminilità, è necessario soffermarsi sul concetto di famiglia per capire l’impatto che tale istituzione ha avuto nella vita delle donne.

Se passiamo in rassegna pubblicità, film o serie tv, vecchie e nuove, è probabile che le donne presenti sullo schermo siano rappresentate almeno una volta in azioni di cura dentro ambienti familiari. Come sottolinea la divulgatrice Karen Ricci sia all’interno del suo libro che nell’omonima pagina Instagram Cara, sei maschilista!, «si dà sempre per scontato che l’unica strada che abbiamo a disposizione per condurre una vita soddisfacente e felice sia in coppia, con lui». Anche se non possiedono un preciso intento educativo, i prodotti social o gli audiovisivi che consumiamo ci informano della strada che la società vorrebbe farci assumere, indipendentemente dalle nostre predisposizioni personali. Così, se per gli uomini “metter su famiglia” è una tappa, non obbligata, che sopraggiunge quando si è ormai adulti, alle ragazze il mito del “principe azzurro” e del vissero tutti felici e contenti costituisce una sorta di mantra che le spinge a ricercare, più di ogni altra cosa, l’amore romantico.

Il filosofo Geoffroy De Lagasnerie sottolinea come, nella nostra società, i sentimenti siano collocati gerarchicamente e, spesso, costruiti per opposizione. L’amore, che si ritiene necessario per formare una famiglia, si colloca al vertice ed è quello verso cui investiamo maggiormente le nostre energie, a discapito di altre relazioni come per esempio l’amicizia.

Sottolinea, in un passo di 3. Un’aspirazione al fuori, come sia «difficile identificare quale di queste forme sociali si definisce contro l’altra (…); tuttavia, è evidente che tra le due sussista una forma di antagonismo, che l’autore coglie anche su un piano personale ogni volta che racconta ai conoscenti di aver trascorso le tipiche festività familiari – come il Natale – con Didier Eribon ed Éduard Louis, anziché in un rapporto a due, unica forma d’amore ammessa dalla nostra società. Nonostante molte persone avvertano come asfissiante la necessità di passare le feste “in famiglia”, nessuno prova ad agire diversamente, sfuggendo al giogo imposto. «Potremmo chiederci – prosegue il filosofo – se non sia la vita famigliare a essere fondata sul lutto delle relazioni di amicizia e delle esperienze che queste rendono possibili».

L’attivista Brigitte Vasallo ha cercato di rendere evidente il potere che si annida nell’istituzione della famiglia. In Per una rivoluzione degli affetti scrive a riguardo: «La monogamia è un sistema di pensiero che organizza le relazioni in gruppi identitari, gerarchici, avversi, attraverso strutture binarie con poli reciprocamente escludenti. L’esclusività sessuale (…) non è la causa del sistema: è la sua conseguenza».

In altre parole, la monogamia non è radicata nella nostra biologia ma viene posta come prerequisito sociale, affinché l’intero sistema regga. Liat Yakir è una biologa che ha dedicato alla questione della fedeltà molte pagine all’interno del suo libro Una travolgente storia d’amore. La studiosa sottolinea come, da un punto di vista chimico, il nostro cervello tenda a ricercare la novità perché ciò consente il rilascio di alcune sostanze, come la dopamina, che favoriscono l’eccitazione. Superate le fasi iniziali dell’innamoramento, in cui tutto è stupefacente perché spesso lo proviamo per la prima volta, il cervello inizia a produrre maggiori quantità di altri ormoni, come l’ossitocina, responsabile del consolidamento del legame che si stabilizza sacrificando parte di quell’incertezza e instabilità tipica dei primi periodi di frequentazione. Il legame, insomma, si fa serio riconoscibile anche dall’esterno.


In una relazione d’amore, le componenti di esclusività e gerarchia sono le porte di accesso al potere che, come ricorda ancora De Lagasnerie, circola con più facilità «nelle forme stabilite di legame». Se in generale il potere nuoce alla vita di ogni persona, è indubbio che abbia effetti ancora più pervasivi e letali su quella delle donne. Il doppio standard – che porta ad applicare, nei conforti del medesimo comportamento, giudizi o aspettative differenti a seconda che venga agito da un uomo o una donna – è ancora presente, soprattutto davanti ad azioni come il tradimento. Così, se molte persone sono disposte a scomodare la scienza per deresponsabilizzare gli uomini, biologicamente cablati per massimizzare le proprie capacità riproduttive, è facile imbattersi in discorsi che ricordano La lettera scarlatta se la “colpevole” è una donna, a cui non si riserva alcuna attenuante di natura organica.

Moltissime persone sentono il bisogno di instaurare relazioni significative, tuttavia è necessario chiedersi se il modo in cui la società presenta le varie forme in cui esse si manifestano risponda alle loro esigenze. Il filosofo francese non ha dubbi: il potere che filtra all’interno dell’istituzione della famiglia genera ruoli stereotipati che finiscono per ingabbiare chi li abita. Per le donne, in particolare, l’adesione al ruolo implica l’accettazione di un mandato riproduttivo che genera una forma di oppressione radicale.

Essa non può essere contrastata solo auspicando il superamento del capitalismo – principale responsabile dell’istituzione della famiglia nucleare. Scrive a riguardo Susan Sontag in Sulle donne: «La liberazione delle donne comporta una rivoluzione culturale volta a contrastare atteggiamenti e mentalità che altrimenti rischierebbero di sopravvivere alla ridefinizione dei rapporti economici». Insomma, inutile cambiare la società o l’impalcatura economica che la sorregge se prima non agiamo una decostruzione circa i modi con cui ci hanno insegnato a intendere le relazioni.

Uscire dalla “forma di vita” socialmente imposta può essere doloroso perché tutte le altre appaiono dequalificate, soprattutto da un punto di vista politico. Nella maggior parte dei casi mancano parole per descriverle. Se pronuncio la parola “amore” è facile farsi un’idea di che sentimento sto descrivendo, molto più difficile se parlo di amicizia. A che tipo di legame sto facendo riferimento, in questo caso? Quello superficiale con i miei colleghi, quello fraterno con il mio amico delle elementari? Le alternative, però, esistono.

Per costruire nuove relazioni, è necessario partire dal desiderio. Nella cornice dell’amore romantico, esso costituisce il punto di innesco per la nascita di un sentimento che Vasallo definisce «emozione drammatica». Se, nell’innamoramento, le donne replicano la passività che la società impone loro anche sessualmente, gli uomini al contrario applicano il vocabolario della guerra. Innamorarsi significa pertanto prendere parte a un gioco con regole precise, in cui uno conquista e l’altra cede, fino all’atto finale in cui le parti decidono di vincolarsi reciprocamente attraverso il riconoscimento e la stabilizzazione del legame.

Liberare il desiderio dagli stereotipi implica ripensare le alternative a questo gioco. Impostare la relazione in modo diverso può voler significare uscire dalla cornice imposta dal concetto di esclusività sessuale – che è ciò che prova a suggerire Brigitte Vasallo – oppure trasformare il legame rompendo il concetto di coppia, come nel tentativo di De Lagasnerie, Eribon e Louis. Nessuna di queste proposte viene presentata dagli autori come quella definitiva, quella perfetta; tutti, però, ci invitano a fare una cosa: uscire dal tracciato imposto socialmente per tentare di agire un atto eretico, capace di sfidare «le leggi del riconoscimento sociale».

ARTICOLO n. 96 / 2024