ARTICOLO n. 74 / 2024

LA NUOVA SOCIETÀ DEGLI APOTI

Il 23 settembre scorso, Giorgia Meloni ha ritirato il Global Citizen Award 2024 dell’Atlantic Council. Il premio, consegnatole da Elon Musk, le sarebbe stato conferito per la sua – cito – attività pionieristica come prima premier italiana, per il suo rapporto con UE e Nato e per la presidenza dello scorso G7.

Meloni, nel ritirare il premio, ha tenuto un discorso di ringraziamento in cui ha citato tre suoi grandi miti: Michael Jackson, Ronald Reagan e Giuseppe Prezzolini.

Ora, se i primi sono conosciuti al grande pubblico (uno è stato uno tra i peggiori presidenti degli Stati Uniti della storia, l’altro non ha bisogno di introduzioni) il terzo non è un nome che si sente con la stessa frequenza degli altri due.

Prezzolini è stato un intellettuale, giornalista, editore, scrittore italiano, fondatore de La Voce e maestro di molti noti nomi del giornalismo e della cultura nostrana (da Gobetti, che poi ne prenderà le distanze, a Montanelli).

Nella sua lunghissima vita – muore centenario – Prezzolini ha sviluppato diverse linee di pensiero, care soprattutto al giornalismo a noi contemporaneo (la ricerca della verità priva di pregiudizio era per Prezzolini il fine ultimo del giornalista). Ma oltre a questo riconoscimento, Prezzolini è divenuto anche un intellettuale di riferimento per il mondo conservatore italiano.

La vita di Prezzolini fu ricca di cambi di rotta, ma dall’avvento del fascismo le sue opinioni sul ruolo degli intellettuali si fecero man mano più scettiche. Nel 1921, a un mese dalla marcia su Roma, Prezzolini scrisse una lettera a La Rivoluzione Liberale, giornale fondato dall’allora suo amico Gobetti.

Nella lunga riflessione a mezzo stampa, Prezzolini teorizzò che la figura dell’intellettuale politicizzato fosse ormai desueta, asservita involontariamente a un gioco di potere viziato nelle fondamenta. La proposta che espresse in questa sua lettera fu quella di costituire, con altri intellettuali vicini a La Rivoluzione Liberale, una Società degli apoti, ovvero un sodalizio di individui super partes, disillusi dalla politica contemporanea e liberi dalle logiche di fazione.

Per Prezzolini, la società degli apoti doveva «far risaltare i valori, per salvare sopra le lotte, un patrimonio ideale, perché possa tornare a dare frutti nei tempi futuri». Insomma, un ritorno al passato, alla conservazione delle tradizioni, all’esaltazione della territorialità in contrapposizione al progresso, visto come disfattista, e alle forze politiche, percepite come corrotte, delle quali non c’era da fidarsi.

Prezzolini rinnegava il “pensiero dominante” – termine amato, abusato e ossessivamente ripetuto da ogni rigurgito alt right occidentale – verso il quale era apertamente oppositore e scettico. 

L’unico pensiero di cui non fu oppositore ma solamente critico fu, manco a dirlo, quello fascista. Fu sì amico di Mussolini, ma fu anche un intellettuale che decise di lasciare l’Italia fascista per trasferirsi negli Stati Uniti. Non si oppose apertamente al ventennio e fece – breve – ritorno in Italia dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, per teorizzare le sue idee sul conservatorismo. Abbandonò definitivamente l’Italia per la Svizzera, dove morì nel 1982.

Nel nostro contemporaneo, molti esponenti dell’attuale governo sono stati affascinati da Prezzolini. Il primo è l’ormai fu Ministro della cultura, Sangiuliano, che ha addirittura scritto un libro su di lui e sul suo pensiero anarchico-conservatore. La prefazione è a cura di Vittorio Feltri. La dedica è a Giorgia Meloni.

Ed è proprio Meloni che, ritirando il Global Citizen Award, ha citato di nuovo il pilastro del conservatorismo e una sua celebre frase, ovvero «chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato».

Ho provato a pensare spesso, in queste due settimane, al perché Prezzolini piaccia così tanto alla nostra nuova ultra-destra.

Per quanto fosse – passatemi il termine – un cerchiobottista, Prezzolini non ha mai esitato nel criticare ogni tipo di potere, anche quello del suo amico Mussolini. E per quanto fosse conservatore, Prezzolini non ha mai avuto fiducia in alcuna forma di pensiero politico post-fascista.

Eppure un grosso punto di contatto tra l’ideologia alt right nostrana (e direi anche occidentale) e il pensiero anarco-conservatore di Prezzolini c’è. E sta tutto nella teoria della compagnia degli apoti.

Gli apoti sono scettici, non credono ai soliti furbetti di partito, sono dubbiosi, malfidati nei confronti del potere e del progressismo liberale o socialista. Il passato è un elemento rassicurante mentre l’istituzione democratica viene percepita come corrotta, maligna, malfidata.

Se questa descrizione vi rammenta un certo tipo di elettorato occidentale (dagli Stati Uniti all’Ungheria, passando per l’Italia e anche le ultra-destre francesi, tedesche e spagnole), avete fatto centro.

La visione anarco-conservatrice di Prezzolini si presta a una rilettura perfetta per i movimenti far right, che fanno leva da un lato su un elettorato scettico e nostalgico, dall’altro su figure politiche che hanno ben poco dell’istituzionale e del democratico.

Giorgia Meloni viene definita underdog, qualcuno di lontano dai circuiti di partito (il che è falso, vista la sua militanza ventennale nei partiti satellite di matrice fascista che a oggi supportano il suo Fratelli d’Italia), qualcuno che non si mischia con le solite dinamiche di palazzo. Trump è un altro perfetto esempio di questa erronea percezione: viene dall’imprenditoria, dallo show business, da ambienti che hanno a che fare con un altro tipo di potere, più libertino e libertario che istituzionale. Gli spagnoli di Vox hanno fatto del negazionismo (climatico e scientifico) una bandiera, idem per Bolsonaro in Brasile e Milei in Argentina, ma anche Orbán in Ungheria. Insomma, le grandi forze dell’Occidente del globo hanno preso una nettissima svolta a destra, godendo della fiducia di un elettorato scettico, stanco, ossessionato dal “pensiero dominante” (che, al pari della “teoria gender”, non esiste, ed è bene ricordarlo di tanto in tanto). Non solo: l’alt right occidentale ha goduto moltissimo di altre sottoculture di apoti contemporanei, come i negazionisti storici (in primis dell’Olocausto), quelli climatici, gli incel, i complottisti (da QAnon a quelli sul Covid19), i movimenti omofobi e antiprogressisti, i puristi della razza bianca, le comunità digitali di 4chan, Reddit e non ultimo l’X di Elon Musk.

L’elettorato alt right e far right è stato intercettato perfettamente dalle nuove linee politiche di ultra-destra, che hanno saputo vendersi come semi anarchiche o, in alcuni casi, apertamente e completamente nemiche del potere democratico: il tentato colpo di Stato avviato da Trump il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill ne è un perfetto esempio. Idem l’autoritarismo anticostituzionalista ungherese. 

Facendo leva sulla ricerca spasmodica della verità anche quando questa è lampante e plateale, le ultra-destre occidentali hanno preso la fiducia degli sfiduciati per eccellenza, ovvero una congregazione di apoti che arriva da decenni difficili di crisi delle democrazie occidentali e della borghesia stessa. 

Importare dunque un’ideologia conservatrice è diventato facile: se al tempo di Prezzolini gli intellettuali socialisti e liberali cercavano di fare muro alle derive fasciste, oggi perfino la classe intellettuale è in crisi e fa fatica a ritrovare il coraggio che dovrebbe contraddistinguerla.

In questo panorama desolato, in cui gli intellettuali si vendono spesso al miglior offerente e depongono le armi della radicalizzazione a favore della visibilità su ogni tipo di media esistente, il pensiero retorico del “si stava meglio quando si stava peggio” è diventato centrale in tutto l’Occidente.

E in questa affermazione del pensiero di destra, la riscoperta degli intellettuali conservatori è necessaria, per conferire quella parvenza di autorevolezza e cultura che da sempre manca a ogni forma di movimento far right.

Prezzolini dunque, parzialmente compreso e ampiamente revisionato, è diventato un teorico di riferimento per Meloni e compagnia cantante ma soprattutto per il suo elettorato.

Così come gli intellettuali etnonazionalisti in Francia e quelli neoconservatori negli Stati Uniti: le ultra-destre stanno diventando teoriche, riprendendo terreno nella cultura, spingendosi verso la celebrazione di una società rabbiosa e diffidente, inascoltata per troppo tempo e che, abbandonata dalle sinistre liberali occidentali, si è crogiolata nella diffidenza e nell’odio.

Da apoti sono divenuti dunque neofascisti, convinti di poter distruggere ciò che reputano nemico ovvero lo stato democratico e la sua naturale evoluzione progressista, in favore di un moto reazionario che si muove spedito verso una chiusura anti-illuminista.

La sfiducia verso la democraticità è il cardine di questi nuovi apoti, coccolati dalle nuove destre e abbandonati dalla classe intellettuale progressista, sempre meno adatta a contrastare i conservatorismi.

Poco sopra vi raccontavo di come Prezzolini teorizzò la società degli apoti al suo giovane collega Gobetti tramite una lettera pubblicata sulla rivista fondata da quest’ultimo. 

La lettera di Prezzolini ricevette una precisa, forte e appassionata risposta da parte del giovane intellettuale antifascista.

E nelle parole di Gobetti io ritrovo una disarmante attualità, una linea morale ed etica assolutamente a fuoco e a noi contemporanea, che sa perfettamente disinnescare gli slanci conservatori e ignavi e ricorda quasi le parole – scritte venticinque anni più tardi – di Italo Calvino ne Il sentiero dei nidi di ragno.

Mi sembra doveroso dunque aggiungervele qui, senza alterazione alcuna da parte mia, affinché possiate farne tesoro, ricordandovi che quella della “compagnia della morte” teorizzata da Gobetti è ancora oggi la più efficace spiegazione della pericolosità di chi non sa prendere una posizione intellettuale, anche e soprattutto davanti al fascismo.«Mentre assistiamo alle più vigliacche dedizioni degli intellettuali ai fasci noi non ci siamo mai sentiti tanto ferocemente nemici di questa intellettualità delinquente, di questa classe bastarda, bollata così definitivamente da Marx e da Sorel e in Russia dai bolscevichi. Sapremo mostrare come ci distinguiamo da questi parassiti anche a costo di ricorrere alla tattica anarchica di insurrezionismo armato, se pare il fascismo non si risolverà allegramente in una palingenesi ottimistica di democrazia e di riformismo. Di fronte a un fascismo che con l’abolizione della libertà di voto e di stampa volesse soffocare i germi della nostra azione formeremo bene, non la Congregazione degli Apoti, ma la compagnia della morte. Non per fare la rivoluzione, ma per difendere la rivoluzione». Pietro Gobetti.

ARTICOLO n. 73 / 2024