ARTICOLO n. 12 / 2021
La mia barba
Storia della maschera che mi difende
Sono diverse le cose per cui provo vero amore, ma si contano sulle dita di una mano. La mia fidanzata, la mia famiglia, i libri, i miei amici, la barba.
Qualcuno può trovare strano un attaccamento del genere verso qualcosa che volgarmente non è nient’altro che pelo; apprezzato, per di più, oltre che dal gusto individuale, anche in base al determinato periodo storico. È quindi una cosa che non ha poi chissà che potenza; oppure ce l’ha, ma potrebbe non averla più domani, esattamente come non ne aveva ieri.
È quindi una cosa che ha una potenza straordinariamente precaria. Eppure, in me, questa potenza esplode massiccia.
Per capirne le motivazioni, bisogna ovviamente dare un po’ di contesto, perché ce n’è uno incredibile dietro ogni grande storia d’amore.
Partiamo dagli inizi: ho sempre guardato con molto interesse gli uomini che ho incrociato nel corso della mia vita, in particolare quelli che ai miei occhi risultavano belli.
Non sono omosessuale – non mi reputo tale al momento, poi, nella vita, chi lo sa -, pertanto non li ho mai guardati con desiderio, ma solo spinto da una morbosa curiosità. Non è sempre stato uno sguardo comprensibile e cosciente, anzi, solo con il tempo ne ho capito il motivo: è che anch’io sono un uomo.
Nemmeno questo fatto si è presentato da subito come un’ovvietà, come può succedere a tante persone, che nascono e poi crescono con un’identità di genere che non sentono mai il bisogno di mettere in discussione.
Per me è stato diverso, perché ho vissuto quasi vent’anni della mia vita nei panni di una donna e mi sono conosciuto anche come Francesca.
Non ho mai percepito questa parte come veramente mia, a volte sentendomi intrappolato in una definizione e ruoli che non mi rappresentavano, altre volte osservando quelli degli altri, degli uomini, e provando un forte senso di appartenenza.
Scrutavo i commessi, gli operatori dell’università, i miei compagni di liceo, guardavo la loro estetica e le loro relazioni e li vedevo distanti come sono distanti le cose che ci sembrano irraggiungibili, non diverse. Per diversi anni, insomma, essere uomo è stato un po’ il mio sogno nel cassetto.
E la barba faceva parte di questo strano pacchetto.
Quando poi ho iniziato il percorso di transizione, ho parlato tantissimo con la psicologa di questo mio desiderio; non perché volevo validasse ai suoi occhi le mie sensazioni, ma perché era autentico. L’avevo tenuto dentro per così tanto tempo, in un modo talvolta molto criptico, che buttarlo fuori per la prima volta, a ripetizione, mi permetteva di analizzarlo, di confrontarlo e di smetterla, finalmente, di lasciarlo sopire come si farebbe con un segreto vergognoso.
Per un po’ ho pensato di desiderarla solo perché potesse farmi risultare uomo agli occhi degli altri, poi ho capito che un uomo si definisce tale per una lunghissima serie di motivi, nella quale i peli giocano un ruolo davvero poco determinante.
Allora ho accettato una volta per tutte che il bisogno nascesse da ragioni ancestrali, forse imperscrutabili, e che in quanto tale fosse semplicemente nato e cresciuto insieme a me, con l’idea che avevo ed ho di me stesso.
Iniziata la parte ormonale del percorso, ad aprile 2018, ovviamente mi sentivo sulle nuvole ed oltre: era un sogno. Mia madre, la sera della mia prima puntura, mi ha chiamato e mi ha detto: «Come ti senti? Ti sono cresciuti i baffi?».
Mi ha fatto sorridere, visto che, ovviamente, non era cosa possibile in un tempo così breve; ma soprattutto perché esorcizzava le paure di entrambi, parlandone con i termini di qualcosa di reale. Per lei, il pensiero che «a sua figlia» potessero crescere i peli era ancora insidioso, ma l’aveva ormai messo in conto e questo le permetteva di scherzarci su, come si farebbe con qualsiasi cosa che s’impara a destreggiare, al punto da poterla girare e rigirare a proprio piacimento.
Per me, al contrario, era spaventoso pensare che potessero non crescermi mai, ma sentirle dire quella cosa mi ha fatto riflettere: lo diceva perché, in effetti, sarebbe potuto succedere.
E perché mai, allora, dovevo sentirmi così frustrato e crucciato, come se ogni possibilità fosse già persa?
A volte sono persino riuscito a mettermi davvero il cuore in pace, ripensando a quella semplice frase.
Ma, chiaramente, non è una storia tutta rose e fiori, anzi: facendo parte di una realtà molto semplice, è altrettanto semplice capire che non potessi scappare così facilmente dalla tristezza e dalle debolezze – che insieme aiutano a creare le ossessioni, che a loro volta costituiscono un vortice difficilissimo da congedare.
Così, per i primi mesi di ormoni mi sono controllato in maniera martellante e maniacale, alla ricerca di quel pelo che potesse finalmente gridare «sono un uomo!» alle persone che non erano mai riuscite a credermi – o che non avevano mai voluto farlo.
Perché, se per me la barba non fa automaticamente l’uomo, ho scoperto a mie spese che per tanti altri, invece, funziona proprio così.
Durante un’estate, nel 2017, ho lavorato come cameriere in un pub. È stata la mia prima e ultima stagione da ragazzo transessuale «pre-T» (aka «pre-testosterone»), perciò, in quei mesi, mentre la mia identità di genere andava via via consolidandosi come maschile, la mia esteriorità non era in grado di rifletterla e chi mi guardava dall’esterno spesso non si accorgeva di star parlando con un ragazzo.
Le volte in cui qualcuno mi chiedeva allora «di che sesso» fossi, o quanti anni avessi, rimaneva poi sbalordito dalla risposta. «Impossibile!» diceva «con quella faccia pulita?», oppure «hai problemi di crescita?», oppure «ma non hai neanche mezzo pelo».
La barba diventava per loro uno uomometro, un valido strumento di riconoscimento, per provare a dare una risposta a qualcosa che proprio volevano e dovevano capire, ossia la mia identità.
Eppure, quanti uomini glabri avranno conosciuto, in tutta la loro vita? Ma questo non sembrava contare, e per tanto tempo non ha contato più neanche per me.
Tanto che, così concentrato sul cercare quel “mezzo pelo”, a quasi un anno di ormoni non mi rendevo del tutto conto di stare già cambiando, di essere già cambiato, sotto tantissimi altri aspetti.
A fine 2018, agli occhi degli altri risultavo già, finalmente, un ragazzo, il che si riscontrava nel modo in cui gli sconosciuti si rivolgevano a me (il «cosa posso fare per te, caro?» di un barista, o il «c’era prima lui» di una persona in fila dal dottore) e piano piano, a furia di vedere validata la mia persona nel mondo di tutti i giorni, cominciavo a sentirmi più tranquillo nei miei riscoperti panni, e nella mia vita tutta; ma qualcosa ancora mancava, e il problema si era spostato dall’essere non sono abbastanza uomo all’essere non sono abbastanza me.
D’altronde, mi sono visto con la barba fin da piccolo: da bambino pregavo Dio perché mi facesse risvegliare con i peli, evidentemente influenzato dalle figure maschili, a cui ambivo assomigliare, che vedevo in televisione o in altre occasioni e che assumevo come modelli; da adolescente rivendicavo il diritto di essere barbuto, perché «con la barba è facile, stanno bene tutti», scrivendolo sui social con l’innocenza e leggerezza di chi non ha gli strumenti per capire cosa stia davvero provando, e cosa davvero significhi ciò che dice.
Come ogni sogno che si rispetti, è arrivato quando quasi non l’aspettavo più, tanto che non ho notato il primo pelo, come mi ero invece immaginato, ma solo l’insieme dei primi peli. Li ho visti quando erano già parecchi, eppure non erano certo cresciuti dal giorno alla notte; ma per la prima volta vedevo anche altro di me e la barba mi si è presentata, a quel punto, come la ciliegina sulla torta.
Trovarla su di me, proprio sulla mia faccia, è stato incredibile. Non mi ero mai sentito così fiero, così bello, così pieno di buoni sentimenti nei miei confronti come in quel momento; e ad oggi è una sensazione che ricordo ancora con dolcezza e nostalgia, perché è stata fugace, una felicità passeggera, come passeggere sono tutte le grandi novità, prima di essere assorbite dal circolo vitale della quotidianità.
Adesso la mia barba è una sicurezza, una certezza, una delle figure femminili che amo. Non devo più temere che non ci sia, il che mi permette di concentrarmi su altri miei punti deboli, sulle altre mancanze che percepisco dentro di me; ma anche di guardare con più attenzione cos’ho di altro, dentro e intorno. La barba, in un certo senso, mi ha permesso di espandere la mia persona in modo che fosse davvero un’entità nello spazio e non più solo l’ombra di se stessa, alla continua ricerca di un valido nascondiglio, troppo impegnata a non farsi vedere per potere vedere il resto. Ha una forza diversa, ora che è una parte strutturale di me; è la maschera che non temo di portare, perché anziché nascondermi mi rivela agli altri.
A volte poi, quando la guardo, penso a quanto è strano il fatto che ognuno di noi abbia bisogno di cose così diverse rispetto all’altro, per sentirsi felice.