ARTICOLO n. 8 / 2023

LA MEMORIA CANTATA

"Un sopravvissuto di Varsavia" di Arnold Schönberg

In occasione del Giorno della Memoria, pubblichiamo un’anticipazione dal volume di Joy H. Calico, La memoria cantata, edito da Il Saggiatore. Traduzione di Silvia Albesano, a cura di Paolo Dal Molin. Da oggi in libreria.

Un sopravvissuto di Varsavia di Arnold Schönberg (1947) sembrava fatto apposta per irritare ogni nervo scoperto dell’Europa postbellica. Un brano dodecafonico in tre lingue sull’Olocausto, scritto per un pubblico americano da un compositore ebreo, la cui opera era stata per i nazisti il primo esempio di musica degenerata (entartete). Il compositore in questione era ammirato e vituperato in quanto pioniere della dodecafonia, immigrato negli Stati Uniti e diventato un cittadino americano. Finendo dopo sette minuti circa, Un sopravvissuto era oltretutto troppo breve per occupare la metà di un concerto e al tempo stesso troppo denso di significato per dividere la scena con qualsiasi altra opera. Per tutte queste ragioni, nell’Europa del dopoguerra, la decisione di inserirlo in programma, eseguirlo, recensirlo o comunque di scriverne non è mai stata presa alla leggera. La sua presenza è sempre stata frutto di un disegno ben preciso e le si è sempre attribuito un significato importante. 

Tale significato si è rivelato assai polivalente e di Un sopravvissuto ci si è appropriati per una sorprendente varietà di motivi. Come accade in tutti i casi, anche in questo i significati e gli usi dell’opera sono stati condizionati dal tempo (la prima fase della Guerra Fredda, tra il 1948 e il 1968) e dal luogo (sei paesi differenti nell’Europa postbellica). L’esecuzione di Un sopravvissuto ha potuto dunque simboleggiare un riconoscimento dell’Olocausto o l’intento di commemorarlo, come in Norvegia o indirettamente in Cecoslovacchia; oppure apparire come un’adesione particolare a Schönberg o alla dodecafonia e alla musica modernista in genere, come in Germania Ovest, Austria e Cecoslovacchia. 

Anche l’ostilità verso Un sopravvissuto è eloquente e si manifesta spesso mediante il ricorso a scontati luoghi comuni antisemiti o antiamericani, per esempio nella Germania Ovest e in Austria. Nel blocco orientale, Un sopravvissuto ha svolto la funzione del canarino nelle miniere di carbone politico‐culturali. 

Nei primi anni della Guerra Fredda, la musica di Schönberg fu ufficialmente approvata solo in sporadici momenti di relativa distensione, come nel disgelo. Diversamente, gli attacchi ad personam al compositore e il rifiuto della sua musica rappresentavano la norma, come pure le deleterie manifestazioni di trinceramento. Così, la comparsa di Un sopravvissuto dietro la Cortina di ferro nei tardi Anni Cinquanta è stata un indicatore dell’avanzamento del disgelo in ogni satellite, sebbene anche allora la sua presenza richiedesse una desemitizzazione in nome dell’antifascismo, specie nella Germania Est. 

Un sopravvissuto è stato anche un tramite di diplomazia culturale, per esempio quando i tedeschi dell’Est hanno eseguito la prima polacca a Varsavia. Per queste e molte altre ragioni, la storia delle esecuzioni e della ricezione di Un sopravvissuto nell’Europa postbellica si presta in modo esemplare a fornire le basi per una storia culturale di quel tempo e luogo. 

È anche un’opera che continua a suscitare discussioni, sebbene le critiche siano per lo più circoscritte in termini di gusto e qualità artistica e non riferite al contenuto simbolico. Tali questioni, di fatto, sono state parte della ricezione dell’opera fin dall’inizio. Molti studiosi disapprovano Un sopravvissuto: alcuni lo trovano eccessivo e melodrammatico, sostenendo che i gesti musicali estremamente espressionistici confinano l’Olocausto in cliché da colonna sonora di film hollywoodiano di serie B; altri trovano il coro finale sgradevole, perché indulge alla predilezione del pubblico per una parabola narrativa eroica e salvifica e offre all’ascoltatore una via di scampo; c’è anche chi si sente offeso da quel che percepisce come uno sfruttamento delle sofferenze altrui a fini di intrattenimento. 

Ciò nonostante, per molti motivi, io non rinuncio all’intento di leggere la storia culturale dei primordi della Guerra Fredda attraverso le vicende legate alla sua esecuzione e ricezione. 

In primo luogo, Un sopravvissuto ha un ruolo del tutto particolare nell’opera di un grande compositore. Non sarà stato il primo lavoro musicale ad affrontare il tema dell’Olocausto, ma ha avuto una sorprendente popolarità. Tutta una serie di elementi – il prestigio dell’autore, lo status di opera tarda e il tema – hanno contribuito a suscitare un vivace interesse da parte della critica, e l’opera ha avuto un’influenza notevole, persino sproporzionata, nel condizionare la ricezione complessiva del compositore, come pure i giudizi sulla sua ebraicità.

Per tali ragioni, ricostruire la storia della sua ricezione e circolazione in Europa nel dopoguerra colma le lacune nella nostra conoscenza di un’opera molto nota, scritta da una personalità importante. 

In secondo luogo, non esiste uno standard minimo che una composizione musicale debba raggiungere per essere significativa dal punto di vista storico, culturale o individuale. Data la costellazione unica di caratteristiche e condizioni appena delineate, la storia dell’esecuzione e della ricezione di Un sopravvissuto è un esempio perfetto per illuminarci sul dopoguerra in Europa. Inoltre, ancora ai nostri giorni non è un pezzo che si mandi in onda soltanto per riempire uno spazio radiofonico di sette minuti; anzi, la sua presenza può essere oggi ancor più emblematica, perché con il passare del tempo ha maturato più significati. 

Nel 1992 il World Monuments Fund ha lanciato una colletta per il restauro della sinagoga di Kazimierz, il quartiere ebraico di Cracovia, trasmettendo in televisione un’esecuzione di Un sopravvissuto da parte dell’orchestra filarmonica della città all’interno del tempio ancora da ristrutturare. Il 9 novembre 2009, nel ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino, l’evento musicale clou della giornata di festeggiamenti è stato un concerto presso la Porta di Brandeburgo, diretto da Daniel Barenboim, che aveva messo a punto con grande cura il programma di quell’evento altamente simbolico. 

Sono state eseguite musiche di Wagner (l’ouverture del terzo atto del Lohengrin) e Beethoven (il quarto movimento della Settima sinfonia), la prima di un nuovo pezzo di un compositore dell’ex Germania Est (Es ist, als habe einer die Fenster aufgestoßen [«È come se qualcuno avesse spalancato la finestra»] di Friedrich Goldmann) e Un sopravvissuto. Barenboim ha detto di aver voluto ricordare alla gente che, prima di diventare noto come un giorno di gioia, il 9 novembre era associato a un evento storico ben più cupo: la Notte dei Cristalli. Nel bene e nel male, Un sopravvissuto si presta ai grandi gesti. 

In terzo luogo, quando Schönberg scrisse Un sopravvissuto, nel 1947, non c’era un vocabolario precostituito – letterario, musicale o visivo – per misurarsi con l’Olocausto. E non esistevano nemmeno cerimonie o rituali per piangere una perdita di quell’entità. Hasia R. Diner ha sconfessato il luogo comune dominante secondo il quale negli Stati Uniti gli ebrei avrebbero taciuto riguardo all’Olocausto nell’immediato dopoguerra, dimostrando che essi dissero e fecero molto al riguardo. Ma dal momento che la Shoah non aveva precedenti moderni, e che la vita degli ebrei in America si esprime in tante forme diverse, non c’erano modelli comuni né modalità di espressione o comportamento condivise: «Le commemorazioni dell’Olocausto dell’era post‐bellica riflettono un insieme di realtà concrete che hanno influenzato profondamente il modo in cui gli ebrei americani hanno costruito la loro cultura commemorativa. Non potevano contare su precedenti ovvi, quando hanno mosso i primi passi per creare nuove cerimonie, scrivere nuove liturgie, mettendo da parte i giorni di lutto e allestendo spettacoli che affrontassero l’orrenda storia di morte e distruzione, omicidi di massa, uccisioni nelle camere a gas e cremazioni di milioni di ebrei». In altre parole, hanno trovato soluzioni strada facendo – adattando rituali e linguaggio, a cui Diner si riferisce in termini di «fatti e parole» che già conoscevano –, per commemorare vittime di eventi fino ad allora sconosciuti e inimmaginabili.In Un sopravvissuto Schönberg stava facendo qualcosa di simile: adattava rituali (concertistici e teatrali, e la recita dello Shemà) e linguaggio musicale (espressionismo, i cui gesti erano entrati a far parte del lessico delle colonne sonore hollywoodiane per thriller e film dell’orrore, e dodecafonia) nel tentativo di commemorare eventi che sfuggivano alla descrizione. Diner interpreta i fatti e le parole di milioni di ebrei negli Stati Uniti, in quel periodo, come parte di «un vasto progetto non organizzato e spontaneo volto a mantenere viva l’immagine degli ebrei d’Europa assassinati», che contribuì alla creazione di una «cultura della memoria». Un sopravvissuto è parte di quella cultura della memoria, perché Schönberg era un cittadino americano, che scriveva un’opera destinata al pubblico americano, sebbene quell’opera fosse naturalmente intrisa delle sue radici europee.

ARTICOLO n. 84 / 2024