ARTICOLO n. 47 / 2024
LA GENTRIFICAZIONE È DISUMANA
una conversazione di elisa teneggi
Alcune sensazioni rimangono addosso: il profumo di una madeleine, la crema cruda uova-zucchero sbattuta per merenda da una nonna di provincia, il sale incrostato sulla punta delle dita nella spiaggia dell’infanzia. La letteratura (e la scienza) ci hanno spiegato che il gusto è un senso strano, che ha a che vedere con la memoria. Ricordarci che cosa ci ha fatto stare bene una volta ingerito è questione di sopravvivenza primordiale: questo sì, questo no, questo meglio di quell’altro, così da non confonderci mai tra le bacche di una giungla inesplorata. Nei contesti urbani, però, spesso deleghiamo questo istinto di conservazione a un altro senso, la vista. La usiamo per identificare una facciata ben ristrutturata (e che conservi comunque quel je ne sais quoi di vissuto), il riflesso delle lucine calde usate per decorare un appartamento, l’insegna di un cafè che propone panini con pollo allevato a terra e opzioni plant-based.
Il sapore ci riporta a esperienze puntuali, a momenti scolpiti nel tempo. La vista, in questo caso, a una nozione: quella del “carino”. Che, come scrive Giovanni Semi in Breve manuale per una gentrificazione carina, è il futuro, e ci dovremo abituare alla sua presenza sia che ci vada bene, sia che non. «A meno che tu [il lettore, ndr] non voglia startene tra i tuoi simili in periferia, ma mi sembri troppo sveglio, nonostante tutto, per volere una cosa del genere». Perché i “simili” sono i “poveri”, i nemici del carino. E verranno spazzati via dalla gentrificazione, che è «una cosa bella, ma soprattutto giusta».
Giovanni Semi è Professore Ordinario all’Università di Torino, in cui insegna Sociologia delle culture urbane e Sociologia generale. Nel 2015 ha pubblicato per Il Mulino Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, saggio a oggi considerato il testo canonico sulla gentrificazione scritto in Italia (e dalla prospettiva dell’Italia). Nel 2022, il Breve manuale era uscito in edizione digitale, inserito nei Quanti di Einaudi. E, nel 2023, il testo è arrivato anche in formato cartaceo grazie a Mimesis. Si deve dedurre che, negli otto anni trascorsi tra le due pubblicazioni, Semi abbia invertito completamente il proprio punto di vista rispetto al tema della gentrificazione, o meglio, della gentrification?
Naturalmente no. «Gentrification è un testo su cui ho lavorato nel 2014, dopo una decina d’anni di ricerca. Porta ancora, secondo me, delle argomentazioni valide anche a otto anni di distanza, poi certo, andrebbe aggiornato in alcune sue parti, prendendo in considerazione, per esempio, l’esplosione delle piattaforme. Però le dinamiche di fondo osservate a quel tempo per i processi legati alla gentrificazione sono le stesse, oggi le cose si muovono solo più velocemente, è tutto più compresso». Il Breve manuale non è, dunque, una ritrattazione, ma un testo satirico. Non ne fa, peraltro, mistero. Queste le sue righe d’apertura: «Ne ho visto uno, l’altro giorno. Alto, barba incolta ma non completamente lasciata andare, una camicia tre o quattro taglie più grande, un giaccone che sembrava un bomber ma non lo era (una cinesata). Ciondolava per una via del centro, davanti a un negozio di cucine con delle isole in legno non trattato davvero splendide. Di quelle con la doppia vasca in Corian in cui non si vedono manco gli schizzi e che, se cucini un pad thai saltandolo nel wok giusto, non si macchiano con la salsa d’ostriche o di soia (senza sale, mi raccomando)».
Il momento giusto per pubblicarlo arriva in acque relativamente calme dopo l’emergenza pandemica da Covid-19. «Infatti», continua Semi, «la pandemia ha aperto uno squarcio, ci siamo guardati dentro senza più riconoscerci. Abbiamo reagito come qualunque specie animale farebbe: ricucendo in fretta, mettendoci in salvo, e ricominciando sulla stessa rotta su cui eravamo prima, e il più in fretta possibile. Il che spesso vuol dire perpetrare comportamenti folli. Eppure andiamo avanti, anzi, sarebbe più corretto dire che siamo tornati indietro. Davanti a questa evidenza serve, credo, un ribaltamento di prospettiva temporaneo. Prendiamo Gentrification: ha circolato nell’ambiente degli interessati ai temi dell’abitare e dell’urbano, credo abbia fatto bene al discorso su questi punti. Però, se fai una nuova operazione su quella falsariga, ti rivolgerai sempre allo stesso tipo di pubblico, che sono o chi appunto legge per interesse, o chi ne è esterno, si incuriosisce, e chiude dopo cinque pagine perché dice “ho capito la solfa, i soliti professori di sinistra”. Allora ho pensato di affidarmi all’arma più appuntita, la satira».
Operazione particolarmente riuscita: il mondo che dipinge Semi nel Breve manuale fa accapponare la pelle, non tanto perché distopico, anzi, proprio per la verosimiglianza del tratto. Oltre al contrasto tra vetrine limpide, materiali splendenti e persone trasandate presentato nell’incipit, nel testo si trovano invocazioni alla Dea Bellezza – «Il tuo quartiere è in preda al degrado? Un panorama desolante fatto di scritte sui muri, esseri umani ciondolanti, bottiglie per terra lo caratterizza? Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo intervenire, è ora di Basta! Quello che ci serve è la Bellezza®. […] La chiave di volta del successo di ogni iniziativa, dal transito del proprio corpo per la città al transito della città attraverso i nostri corpi, è la bellezza. Abbiamo bisogno di gente bella in posti belli, perché solo la bellezza ci salverà dalla sfacciataggine della Bruttezza®, del Degrado®, dei Poveri®» – corredate di comode istruzioni su come “farla accadere” anche nel proprio quartiere. Ovvero: cambiarne il nome (pensare in questo all’esempio milanese di NoLo, North of Loreto, primo quartiere brandizzato della città), parlare con la gente, lasciar fare agli esperti, fare dei disegnini carini sui muri (che dicano, per esempio: Cities Are Mental Weapons, Fight White Privilege, Surrender To Art), mettere i ragazzini a spazzare le strade assieme a cooperative di richiedenti asilo. Azioni da effettuare rigorosamente dall’alto, quando verranno erogati i fondi, facendo capire alle persone che cosa vogliono, insomma in stile coloniale. Quando finalmente si raggiungerà l’unanime grido “questo quartiere è davvero carino”, la missione sarà completata. Parlate con i vostri amici urbani, se non ci credete, seguite le loro storie Instagram: saranno pieni di posticini carini, oppure bruttissimi ma fotografati bene, che è solo carino alla meno uno (e, soprattutto, molto cool e urban). Forse preferite non pensarci, ma tutto quello che vedete in questa modalità è gentrificato, e, scorrendo attentamente il Breve manuale, potrete ravvisare come molti degli step fondanti della gentrificazione stiano avvenendo (o continuando ad avvenire) tutto intorno a voi.
Spazio per una presa di coscienza collettiva, insomma, lo si avrebbe. Oltre a questo, però, possiamo sperare anche in spiragli di azione politica? Ancora Semi: «Non credo sia più possibile convincere la politica a rivedere il corso delle azioni intraprese. Storicamente, in Italia la proprietà immobiliare è un bene sacro e inviolabile. Questo perché la trasmissione intergenerazionale è ancora il primo mezzo con cui si acquisisce una casa di proprietà, e questo si lega al fatto che la popolazione è meno mobile, geograficamente parlando, nel senso che molto spesso si nasce in un posto e ci si rimane a passare la vita. E abbiamo tasse sulla casa che, per i proprietari naturalmente, sono irrisorie se comparate a quelle di paesi molto più neoliberali di noi, Regno Unito e Stati Uniti, per esempio [in Italia non ci sono tasse sulla prima casa, ndr]. Invece in Italia è dagli Anni ’50 che si spinge sull’allargamento della proprietà immobiliare, ormai è un dato di fatto, e toccare le politiche legate alla casa è un suicidio, politicamente parlando. Tanto nelle grandi città quanto ancor più nei piccoli centri, dove i politici hanno nomi e cognomi che a volte troviamo sul campanello di fianco a casa nostra. È una situazione molto difficile da smuovere, se non con, forse, un accordo di larghe intese, o un intervento costituzionale».
A questo si aggiunge l’atteggiamento di tolleranza-zero relativo alle forme di abitare informale come, per esempio, le occupazioni di immobili dismessi. Emblematico, nel luglio 2023, il caso dello sgombero dell’occupazione di un palazzo in via Fortezza (a Milano), in cui l’intervento delle forze dell’ordine è arrivato a meno di un giorno dall’insediamento degli occupanti. Dunque, senza un reale interesse a ripensare la conformazione dell’abitare nel paese, dobbiamo aspettarci che le logiche omologanti, replicabili con lo stampino, carinissime della gentrificazione continuino a trainare lo sviluppo urbano, attraendo verso quartieri un tempo grigi e popolari nuove coppie di hipster “molto berlinesi”?
Conclude Semi: «Io credo di sì. Non è ragionevole supporre, visti i dati che abbiamo, che il processo si esaurirà spontaneamente. Anzi, temo che presto le conseguenze classiste della gentrificazione si allargheranno ulteriormente, tra crisi climatica e rischio reale di nuove pandemie. Ipotizziamo che tra dieci anni giunga un nuovo Covid-19, una nuova emergenza sanitaria, già le città saranno meno vivibili a causa dell’aumento globale delle temperature, unendoci la necessità di fuggire dalla massa ci troveremo in una polarizzazione fortissima: un numero davvero esiguo di persone “che potranno”, e magari si dirigeranno a colonizzare borghi e villaggi tra montagna e campagna; tutti gli altri saranno bloccati e non avranno un “altrove” a cui potersi rivolgere. La gentrificazione dovrebbe allargare l’esperienza urbana, e invece la sta rendendo sempre più stretta».
Terminato il chiarissimo (e non carinissimo) Breve manuale, in realtà la domanda che rimane da fare è una sola: quali possono essere i principi di una s-gentrificazione non solo carina, ma anche efficace? «Bisogna, innanzitutto, agire sulla rendita immobiliare, che è un elemento violento, inutile persino dal punto di vista del tardo-capitalismo, e parassitario. Sul versante sociale, invece, dovremmo mettere l’accento sul conflitto, cioè tornare a considerarlo come una forza motrice in positivo della società. Non intendo naturalmente il conflitto armato, ma lo scambio di idee tra persone che la pensano diversamente. Infine, sul lato politico e culturale, dobbiamo metterci in testa che la gentrificazione distrugge la qualità principe della vita: la sua diversità, in quanto ragiona per omologazione e ripetizione del già visto». Una gentrificazione non solo ingiusta, dunque, ma anche dis-umana. Chissà se, con un po’ di ironia e con l’aiuto del Breve manuale per una gentrificazione carina, riusciremo finalmente a mettercelo in testa.