ARTICOLO n. 5 / 2022

ENNIO MORRICONE SECONDO GIUSEPPE TORNATORE

un'intervista

Ennio di Giuseppe Tornatore è un affresco enorme, coloratissimo, pieno di dettagli e di idee. Inizia con le mani di Morricone, si concentra prima sui suoi movimenti, sulla ginnastica, sulle braccia che si allargano e che si riavvicinano al corpo e poi sulle parole. La camera cerca insistentemente la striscia degli occhi e la base della fronte. Il montaggio – firmato da Massimo Quaglia e Annalisa Schillaci – gioca con la regia, e le immagini giocano con la musica. 

C’è, come sottolinea Tornatore, un ritmo incredibile, che avvolge ogni cosa e ogni momento, e che permette a questo documentario di diventare un torrente di ricordi e di informazioni, di riempirsi di emozioni e sentimenti genuini, e di amalgamare, in due ore e mezza, la storia di un uomo, dei suoi successi e del suo talento con la storia di un intero paese. Ma Ennio non è solo questo. 

È un film sul cinema e sui registi, sull’anima delle storie, sull’importanza dei suoni e dei rumori, su quello che proviamo ogni volta che ascoltiamo una canzone, o che le immagini trovano lo stesso passo della musica. È, poi, un film d’amore, perché Morricone parla di sua moglie, Maria Travia, e lo fa con la dedizione degli innamorati; ed è un film sull’amicizia, perché le persone che vengono intervistate sono tutte profondamente legate a Morricone da un affetto genuino. 

Infine, c’è il rapporto tra Tornatore e Morricone: e quindi ci sono la complicità di ogni racconto e la libera onestà con cui tutto viene ricordato e restituito allo spettatore. Per finire Ennio, dal primissimo pitch alla versione definitiva, ci sono voluti quasi sette anni. E, dice Tornatore, ogni montaggio è stato diverso. «Il primo, ovviamente, era molto più lungo e abbondante. Conteneva più capitoli e aveva lo stesso ritmo e lo stesso andamento». 

Dopo il successo di The Beatles: Get Back di Peter Jackson, potrebbe essere un’idea farne una miniserie, per approfondire ulteriormente il racconto. Ne avete parlato?
«Le dico la verità: nessuno mi ha chiesto di lavorarci nuovamente. Confermo, però, che c’è molto più materiale».

Ma a lei piacerebbe allargare ulteriormente questo racconto?
«Più che allargarlo, mi piacerebbe ricomporlo. Nel secondo montaggio, c’erano molte più cose. Cose che, secondo me, sono piuttosto importanti. Quindi valuterei senza problemi una proposta del genere. Non avrei nessuna riserva. Intendiamoci: si tratterebbe di un lavoro piuttosto complesso. Perché una cosa è trarre una versione più sintetica da una più lunga, un’altra, invece, è ricostruire una versione più estesa che non è mai stata finalizzata».

Mentre parla di Ennio, Tornatore sembra inseguire qualcosa: un’idea, forse; oppure un’intuizione. Non è mai brusco, ma c’è una consapevolezza precisa nella sua voce. Non è vero, dice, quello che hanno scritto. «Questo non era il sogno della mia vita, non ci avevo mai pensato prima. Sono stati i produttori, Gianni Russo e Gabriele Costa, a propormi di fare un documentario su Morricone».

Lei ha accettato immediatamente?
«Se Morricone è d’accordo, ho detto io, lo faccio volentieri. Conoscevo il carattere di Ennio, e conoscevo la sua ritrosia a lasciarsi riprendere. Quindi sono andati da Ennio, gli hanno fatto la stessa proposta, e Ennio ha risposto: se lo fa Giuseppe, per me non ci sono problemi. In un certo senso, mi sono ritrovato coinvolto. E solo a quel punto ho cominciato a immaginarlo e a scriverlo. È diventato un progetto importante per la mia vita, e io ho fatto di tutto per realizzare il miglior documentario possibile».

Dal primo giorno di lavorazione a oggi, sono passati – diceva – quasi sette anni.
«Durante i primi cinque, però, ho fatto solo qualche intervista e qualche ripresa, e poi sono tornato ai miei film. Negli ultimi due anni, invece, mi sono concentrato unicamente su questo progetto». 

Ha dovuto riscriverlo diverse volte.
«Non tanto per gli eventi quanto, in realtà, per il cambiamento di certi contesti produttivi. Per esempio, in un primo momento nel film erano previste anche alcune sequenze di ricostruzione cinematografica. Dunque andavano fatti dei casting e trovati degli attori. Alla fine, però, sono stato costretto a rinunciare e ad abbracciare una formula più tradizionale».

Da dove è partito?
«Per questo documentario, la cosa più importante è sempre stata avere un linguaggio più vicino alla musica che alle immagini. L’intera struttura doveva avere una sua musicalità. Perché è proprio la musicalità che avvicina questo documentario alla personalità e alla figura di Ennio Morricone».

In Ennio si alternano interviste – una delle più deliziose e delicate è quella fatta a Bernardo Bertolucci – e materiali di archivio, e poi, per tutto il tempo, ritornano i temi e la musica scritti da Morricone. Le persone li canticchiano. Danno il tempo. «L’opera di Morricone fa parte del nostro tessuto quotidiano», dice Tornatore, «e io ho giocato con questa cosa. Tutti, prima o poi, finiscono per fischiettare le sue musiche. E lo fanno soprattutto i registi e le persone che, nel corso del tempo, hanno lavorato con lui. Chiunque, in questo film, è pronto ad accennare una musica di Morricone».

C’erano due Ennio. Uno più introverso e timido, e uno più deciso e coinvolto. Lei quale ha conosciuto?
«Tutti e due. Non erano due facce in contrapposizione, ma due aspetti complementari. Ennio era così: ironico, spiritoso, trasparente, di un’onestà unica; e allo stesso tempo era deciso, appassionato, pronto ad accalorarsi e arrabbiarsi per far valere le sue ragioni. Dietro questi due aspetti, c’era la sua profonda genialità. E non sembrava esserne nemmeno consapevole. Eccola, la chiave della sua grandezza».

A un certo punto, nel documentario, dice: io sono tutta la musica che ho studiato.
«Non pensava, però, di essere un genio puro. E questo non sapere l’ha reso ancora più grande: gli ha permesso di alzare ogni volta l’asticella delle sue aspettative e di continuare a sperimentare. Perché per lui comporre musica significava sperimentare. Erano la stessa cosa. Io ho conosciuto il Morricone curioso e il Morricone pronto a puntare i piedi. E nel 99% dei casi, quando lo faceva, aveva ragione lui».

Com’è andato il vostro primo incontro?
«Mi ha messo immediatamente alla prova. Voleva capire le mie intenzioni. Ennio temeva gli approcci estremamente superficiali che a volte ci sono nel cinema. Non tutti i registi conoscono la musica, e non tutti i registi la rispettano. Quando gli dissi che non volevo una musica siciliana per Nuovo Cinema Paradiso, si tranquillizzò e accettò di lavorare al film. Per me si trattava di una storia universale».

Ne La leggenda del pianista sull’oceano, Morricone ha saputo dare voce all’amore.
«In quel caso, la musica è stata decisiva due volte. Non era solo un commento: faceva profondamente parte del film. Con Morricone, ne abbiamo parlato prima dell’inizio delle riprese; ci abbiamo lavorato a lungo. La musica che aveva composto era la musica definitiva, e in questa scena il tema doveva parlare di amore».

In che senso?
«Doveva essere particolare anche rispetto al resto della colonna sonora. L’inizio di questo tema contiene in sé dei lunghissimi intervalli, e sono stati questi intervalli che mi hanno permesso di descrivere nel racconto questo meccanismo che volgarmente chiamiamo “colpo di fulmine”».

Lui vede lei, e cerca di conoscerla attraverso la musica. 
«Il tema non poteva essere deciso. Doveva essere incerto. Soprattutto, poi, non doveva ripetersi mai: doveva evolversi in continuazione. In quel tema c’è tutto: c’è lui e c’è lei; c’è il desiderio di conoscere, ci sono l’amore e la consapevolezza finale. Questo che sto dicendo, però, è la sintesi di ore e ore di lavoro e di discussioni: ed erano ore bellissime, piene, ricche di Ennio e della sua sensibilità. Con le sue musiche, i film hanno trovato qualcosa che, fino a poco prima, non avevano. Qualcuno parla di anima. Sicuramente raggiungevano uno spessore superiore, diverso, che li migliorava enormemente».

Questo documentario riesce a sintetizzare efficacemente anni e anni della televisione italiana e del cinema mondiale. È sempre stato uno dei suoi obiettivi?
«Nella mia idea iniziale c’erano solo un coreuta pronto a raccontare e a raccontarsi e un coro disposto ad affiancarlo e sostenerlo. Quando ho cominciato a montare, però, ho notato un’altra cosa. Non volendo, nel documentario era nata una linea narrativa quasi insospettabile. Attraverso le immagini, la musica e i ricordi veniva fuori un racconto della nostra storia e del nostro paese».

C’è una linearità precisa.
«I programmi tv, i presentatori che lo intervistano, i giornalisti, la timidezza per i primi premi ricevuti: in questa narrazione cronologica, la vita di Ennio diventa quasi un romanzo. E la narrazione cronologica, a volte, può essere un rischio: perché rallenta l’andamento e il tono, e perché può essere quasi polverosa, piena di frammenti di altre cose. In questo caso non è stato così. Anzi».

Secondo lei, abbiamo dato per scontato il genio di Morricone?
«Per scontato no, lo escludo. Lo abbiamo capito, secondo me. Perché ci ha trasmesso molte emozioni e perché è stato una parte importante della colonna sonora delle nostre vite. La sua opera, però, difficilmente verrà ricostruita per intero. Ennio ha scritto tanto. E in ogni cosa che ha scritto e composto, ci sono ancora oggi intuizioni e sfide aperte che possono avere ulteriori interpretazioni ed evoluzioni. Insomma, c’è ancora tanto da studiare e da scoprire. Il mio documentario sarà, secondo me, solo un documentario: uno dei tanti. Ce ne saranno altri, e si continuerà a parlare di Ennio».

Che tipo di amicizia è stata la vostra?
«È stata fondamentale. Dal punto di vista umano, è stata l’amicizia più importante della mia vita. Un’amicizia fatta non solo di stima e di fiducia, ma anche di affetto familiare e profondo. Ci univa una voglia continua di comprendersi. Eravamo liberi di dire quello che pensavamo. La stima c’era sempre, e la nostra amicizia rimaneva: era lì in ogni istante».

Ricorda il momento in cui, per la prima volta, si è lasciato catturare dalle musiche di Morricone?
«Avrò avuto 9 o 10 anni. Ero in spiaggia, allo stabilimento balneare del mio paese. E il jukebox mandava una musica che avevo sentito pochi giorni prima al cinema: una musica senza parole, su cui gli altri ragazzi riuscivano comunque a ballare. Era il tema di Per qualche dollaro in più».

Qual è stata la lezione più importante di Morricone?
«Sapersi fidare degli altri. Mi ha sempre colpito la libertà che, ogni volta, per ogni film, Ennio mi dava. Mi faceva ascoltare quattro o cinque tracce, e poi mi lasciava scegliere. In quel momento, era sicuro del suo lavoro, di ogni pezzo che aveva scritto, ma dava a me l’ultima parola. E quello era un atto estremo di fiducia». 

Che cosa ha capito?
«Per avere fiducia negli altri, bisogna avere prima di tutto fiducia nelle proprie capacità. Oggi io provo a fare la stessa cosa. Quando incontro i miei produttori, porto più idee e più soggetti, e lascio a loro la scelta».

Ennio di Giuseppe Tornatore, prodotto da Gianni Russo e Gabriele Costa per Piano B Produzioni Srl, sarà al cinema in anteprima il 29 e il 30 gennaio. Tornerà in sala il 17 febbraio, distribuito da Lucky Red in collaborazione con TIMVISION.

ARTICOLO n. 93 / 2024