ARTICOLO n. 57 / 2024

DONNA

le parole del futuro

Quali parole – volenti e nolenti – ci porteremo nel futuro? Che significato hanno oggi e assumeranno domani per noi e per il mondo in cui siamo immersi? Nelle prossime settimane daremo forma a un vero e proprio lemmario con cui indagare il significato e il senso di termini ritenuti centrali dalle autrici e dagli autori coinvolti.

A cavallo tra la realtà fisica e una dimensione per lo più ignota, apro gli occhi. Non so dove sono, ma tutto intorno a me vedo un caleidoscopio di colori vividi e sfumature delicate in cui macchie di selva si mescolano a prati dorati e colline che sfiorano il cielo.

Una giovane donna è immersa in una danza vorticosa. I lunghi capelli neri, dritti e pesanti, sono raccolti in un milione di trecce spettinate e nastri impreziositi da fiori di diverse dimensioni. Il suo vestito, simile a un tradizionale huipil messicano, riflette figure straordinariamente geometriche dai colori accesi lasciando intravedere i suoi seni sodi, e a ogni movimento della donna, a ogni sua piroetta, i colori si mescolano tra loro a cascata creando un’orgia di luce. Tutto intorno a lei è vivo e non ha contorni. La sua danza è libera, spudorata, sensuale e il suo canto per un attimo mi riporta ad alcuni vecchi sogni di emancipazione.  

La donna si muove avvolta in un velo trasparente, i suoi occhi brillano. Mi guarda, sorride, mi invita a raggiungerla. Chiedo allora alla donna chi è, ma lei non risponde. Continua a volteggiare con lo sguardo fisso sull’immagine di sé stessa che ora uno specchio davanti a lei riflette. “Sono bella”, dice. “Non ho catene”. Muove le dita lunghe e nodose, e nella vertigine della sua gonna vaporosa lascio che si perda per un po’ il mio sguardo sognante. 

A un tratto però i nostri occhi si incrociano e un’ombra sinistra si affaccia tra le sue pupille. Intravedo qualcosa che la tormenta e che, al suo primo sussulto, incomincia a turbare anche me. La stanza si dipinge di un blu tetro, e a poco a poco, cala un’oscurità profonda e inquietante. Mi sembra che il ritmo della musica rallenti, che le note si diradino, che inesorabilmente la giostra intorno a noi incominci a fermarsi. Allungo la mano per provare a toccare la donna, ma le sue dita al contatto con le mie prendono a sgretolarsi.

All’improvviso il suo volto si deforma, il sorriso diventa grido, e a poco a poco I colori si sciolgono, si dissolvono. Adesso la donna è illuminata solo dal rosso e dal giallo di una fiamma vivace: sta ardendo viva. Legata a un grande pezzo legno asciutto e avvolta a una veste nera, pesante come il piombo, si dimena come una bestia impazzita che vorrebbe sottrarsi al suo destino, ma le sue lunghe dita sono state usate come corde che la mantengono salda al suo patibolo. Centinaia di occhi la inchiodano accompagnandola spietatamente nella bocca della morte. Sento un brusio in sottofondo, un bisbiglio che si fa sempre più fragoroso. Qualcuno strilla “puttana”, qualcuno ride, qualcun altro sputa sui suoi piedi scalzi. 

È un’immagine spaventosa, a tratti angosciante. La fiamma ha già ustionato pelle, i capelli sono lingue di fuoco, vedo brandelli di carne schizzare. Apro la bocca come per urlare ma non esce nulla. Vorrei salvarla, ma già presagisco la sua triste sorte e mi sento inerme. Una lacrima mi riga il viso mentre sfumano i lineamenti di quella donna troppo libera, e di lei rimangono solo le braci di un corpo represso e carbonizzato.


Esco dalla stanza di corsa, trafelata. Sono madida di sudore, il cuore mi esce dal petto. Ciò che ho visto mi perturba. Forse sto sognando? Mi prendo un momento per contare i secondi in cui l’ossigeno fresco risale le mie narici fischiando e poi tiepido le abbandona. Dove sono? 

Alzo gli occhi e capisco che sono arrivata nel bosco. Ci sono rami e foglie immersi in un manto di stelle e nel fruscio della notte. Una fronda ciondola, mi fa un cenno di saluto, ma io ho perso la strada per tornare e, invece di ricambiare, mi lascio andare ad un lamento. Continuo a pensare a quel ballo soffocato e a quell’odio spietato di cui non posso accettare l’esistenza. Che cosa spinge, mi chiedo, gli uomini a godere dell’annientamento?

La gentile fronda richiama la mia attenzione. Mi accarezza la testa, mi fa cenno di voltarmi e proprio lì, a cavalcioni tra il cielo e mantelli di felci giganti, intravedo il lembo di una lunga sottana a cui mi aggrappo con tutta la forza, come una bimba impaurita e bisognosa di rassicurazione. Risalgo velocemente l’alta figura passando attraverso i suoi orli di pizzo, la peluria delle sue cosce, i solchi delle sue natiche, e man mano che mi arrampico, sento una sensazione di crescente tranquillità e pace farsi spazio dentro di me. Raggiungo la cima. 

Il volto della donna è rugoso, ma bello. I suoi occhi sono brillanti incastonati tra il naso e la fronte, e sulla bocca indossa un sorriso radioso che risveglia in me alcune sensazioni familiari. Assomiglia un poco a mia nonna, penso, eppure è viva. Vorrei poterla abbracciare e accarezzare, e invece resto lì imbambolata senza sapere bene che dire. La donna mi osserva teneramente, poi sussurrando con voce lontana ma carezzevole mi chiede di avvicinarmi ancora un poco a lei. Mi accomodo così sul palmo della sua mano, lasciando che mi trasporti lontano dai ricordi più dolorosi. 

Arriviamo insieme nei pressi di un laghetto in cui scorgo il riflesso della luna, nuvole in corsa e grandi rami di pino. Siamo sole e delle fiamme di prima ormai sembra non esserci più traccia. Scruto la donna nei suoi occhi verdi e cristallini, e attraverso quello specchio distinguo il movimento di cerchi concentrici che si allargano nell’acqua. Il mio sguardo si rivolge di nuovo alla superficie del lago che ora gioca a nascondino con le fronde degli alberi, e il tempo mi sembra irrimediabilmente sospeso tra passato, presente e futuro. 

Chi è questa donna e che cosa mi vuole mostrare? Ruminando tra i miei ricordi confusi mi rammento di tradizioni ancestrali di cui mi è stato narrato, e ricordo in particolare di aver sentito a lungo ciarlare dei poteri magici della curandera. Ella è una madre, una figlia, una strega, una santa. Peccatrice e guaritrice di ogni ferita dell’anima, è colei che traghetta oltre le limitazioni del presente per abbracciare senza ansie l’infinità del futuro. La riconosco appena un fioco fascio di luce illumina le sue gote opache.

La curandera impugna un grosso bastone come fosse una matita e traccia cerchi nel lago che si tramutano in figure inizialmente smarginate. Guardo meglio nel riflesso dell’acqua e sobbalzando vedo il mio volto contorcersi fino a diventare quello di mia madre, poi quello di mia sorella, poi quello della danzatrice arsa sul rogo delle puttane. Tutto d’un tratto, donne di ogni forma, colore e dimensione si moltiplicano sotto ai miei occhi ruggendo all’unisono. Cantando, si prendono per mano fino a formare un cerchio compatto tra le sfumature, tra le stelle e le ombre, incarnando le forze contrastanti che plasmano il destino. Non ci sono corde né occhi giudicanti attorno a loro. I loro corpi nudi ora ruotano in un’unione sinuosa e simbiotica che mi appare invincibile. 

Alcune di loro mi tendono la mano, mi fanno cenno di unirmi. “Portaci con te”, mi esortano. “Ti serviremo per illuminare l’oscurità del presente”.

Scuoto la testa. È un’allucinazione, un’illusione, forse un’utopia. Eppure, finalmente capisco di non essere in un luogo fisico ma in uno stato d’animo, in un’esperienza di libertà e potenziale in cui ogni respiro porta con sé la promessa di un nuovo inizio o la magia di un sogno che può ancora diventare reale. 

La curandera mi ha donato il potere di scrutare il tempo. Dinnanzi, mi si stagliano infinite possibilità e fantasie non ancora realizzate. Non è solo una visione di ciò che potrebbe essere, ma un vero e proprio invito a creare e credere nel potenziale illimitato dell’essenza femminile. Uno sguardo su quel che verrà, non come qualcosa di predeterminato, ma come un arazzo in continua evoluzione, tessuto solo dalle nostre decisioni, dai nostri desideri e dalla nostra voglia di offrire visioni e ideali alternativi.   

Sta di nuovo sorgendo il sole. Mi volto ancora una volta a guardare la mia curandera prima di vederla evaporare per sempre in un pulviscolo dorato. Prima di andare mi strizza un occhio e da lontano bisbiglia: “Ogni volta che avrai paura, ora sai dove cercare”. 

ARTICOLO n. 93 / 2024