ARTICOLO n. 92 / 2024

CONTRO I REGALI DI NATALE

Nell’inverno che seguì alla mia nascita Zia comprò uno stock di golfini rosa, uno per taglia d’età. Sei-12 mesi, 12-18 mesi, 18-24 mesi e poi 2-3 anni, 4-5 anni, 10 anni, 14 anni, adulta. Dal 1990 in poi, ogni Natale, mi regalò la taglia che spettava secondo cartellino. Da quando compii 18 anni a quando lei morì, nel mio trentaduesimo anno di vita, mi regalò il medesimo golfino rosa taglia M. Quando aiutai il figlio a vuotare l’armadio di Zia dopo il funerale, trovai un’altra decina di golfini rosa, poiché Zia si aspettava di campare di più. Nell’anno del Signore 1990, Zia sapeva che per i successivi trenta o quaranta anni di vita Corso Vercelli non l’avrebbe vista aprire il borsellino sotto i fiocchi di neve per comprare a me o a chiunque altro un regalo di Natale. Questa consapevolezza fu libertà.

Raccontare di Zia non è aneddoto bensì parabola: ogni Natale ciascuno di noi riceve il medesimo regalo dalla medesima persona, adattato all’età. Muta l’involucro simulacrale, ma non la reificazione della nostra personalità per come interpretata dal donatore. Cambiano i budget non i bias. Il taccuino rilegato a mano del 2021 è il vaso per ikebana del 2024. La lampada di Kazuhide Takahama del 2021 è la camicia su misura cucita a mano dal morituro sarto di un padre costituente del 2024. Il set di confetture del 2021 è il siero notte di Kielh’s del 2024. E sì, la tessera FAI del 2021 è la cena da Enrico Bartolini del 2024. I regali ricordano che si è sempre quella roba là.

Mi dichiaro ufficialmente stufa di essere quella roba là. Da qui l’idea di proporre a The Italian Review un grincioso articolo che spinga il lettore a essere stufo con me.

Tra i capitoli più affascinanti delle discipline demo-etno-antropologiche, l’economia del dono. Il kula, studiato da Bronisław Malinowski negli anni Venti, è un rituale delle isole Trobriand in cui si compiono chilometri e chilometri in canoa per scambiarsi collane se si va verso Nord e bracciali se si va verso Sud. Questi doni sono una forma di baratto poiché non rimangono proprietà di un individuo, ma circolano, e il loro obiettivo è veicolare tramite la bellezza, e la fatica del tragitto per mare, un rapporto di fiducia. Che meraviglia. Ecco, da questa parte del mondo quando si scarta un regalo di Natale tutti, persino i bambini, provano diffidenza. Quei mona dei genitori sicuramente avranno comprato un Furby bianco, non pezzato. Il rossetto Rouge Coco di certo avrà una tonalità bright winter, figurati se lui ricorda che lei è summer soft. Gesummaria, s’avverte la consistenza di un libro sotto questa carta da pacchi, sarà L’eleganza del riccio, di certo non Simenon.

C’è poi un regalo altrettanto temibile: il pensiero. Altrimenti detto, pensierino. Un ricatto. Il pensiero è fatto con il cuore, e quindi non può essere buttato. Il pensiero è un biglietto o un disegno o qualcosa di piccolino fatto a mano che materializza l’amorevolezza del donatore. La casa d’infanzia ha un cassetto o una mensola pieni di pensieri. Nel 2023 ho buttato un cesto di pensieri nel bidone dell’inorganico senza nemmeno scindere i materiali per fare raccolta differenziata perché staccando la carta dai lacci di stoffa mi sembrava di squartare bamboline vudù. 

Per sfuggire a tutto questo, un metodo c’è. Il primo dicembre ho inviato a parenti e amici un messaggio in cui scrivo di non voler ricevere in dono né oggetti né esperienze né tantomeno pensieri. Ho chiesto ricevute di donazioni, anche misere. Si badi bene: donazioni a cause che io sostengo, non loro. Non l’ho fatto per bontà ma per rabbia sociale, e per rompere i coglioni a suddetti parenti e amici.

Le cause che stanno a cuore a me sono prevalentemente di ordine sociale e sanitario, i miei parenti hanno gioco facile tra Associazione Luca Coscioni, Lega del Filo d’Oro, associazioni che si occupano delle persone senza fissa dimora, di cure palliative eccetera. Ma se la pratica della donazione in regalo a Natale, già diffusa, divenisse veramente capillare, se ne vedrebbero delle belle. Donare come dono a un’altra persona significherebbe studiare cosa sta a cuore al proprio nipote, genitore, amico e talvolta magari comporterebbe effettuare una donazione a qualcosa in cui non si crede. Potrebbe persino rivelarsi moralmente difficile, provocatorio, in questo modo introducendo nuovi interrogativi e un dialogo inedito nel sistema familiare. Si incentiverebbe peraltro l’interesse per gli immani problemi sociali italiani, visto che le generazioni più giovani sembrano maggiormente coinvolte da problematiche estere o globali. 

Gli adolescenti potrebbero iniziare così la propria rivoluzione nel salotto della nonna, rifiutando di regalare cremine, donando e chiedendo donazioni a cause di cui poi ci si troverebbe a discutere. Si creerebbe più katastrophè che nelle piazze, raggiungendo un pubblico – l’acerrima metaforica nonna – che nelle piazze compra il sedano.

Ci ritroveremo a donare per la ricerca scientifica, culturale, per recuperi e ristrutturazioni, per piante, animali, per religioni o partiti cui magari non crediamo, per circoli che detestiamo, per bambini che non conosciamo ma che sono anche nostri, o per club che non hanno assolutamente bisogno di una donazione ma che fanno la felicità del nostro caro. Sarebbe un gioco e una sfida oltre che un bel regalo.

Sto scrivendo questo testo ormai da un’ora e mi domando di cosa fossi in balìa quando proposi al caporedattore un articolo sui regali di Natale, ché in realtà basta un bambino felice per giustificare l’ottusità con cui una famiglia si scambia forsennatamente cadeaux.

Vorrei andare al bar a bere un prosecco, ma non posso poiché abito nel centro storico di Padova e dal 22 novembre al 6 gennaio Padova è vittima di videomapping.

Sugli edifici storici più mirabili della città sono proiettate luci blu e immagini luminose di ghirigori e cornicette che rendono illeggibili le architetture, fanno scendere il termometro di ulteriori tre gradi (che calore natalizio dovrebbe emanare una luce cerulea?) e diseducano turisti e cittadini. L’Assessore alle Attività Produttive e Commercio ha rilasciato una dichiarazione riportata sul sito del Comune che recita: «Anche quest’anno realizziamo un grande investimento per animare la città e impreziosire le nostre piazze e le nostre vie di luci». Da quest’anno, apprendo dall’Instagram di Luca Zaia, pure Vicenza è vittima di videomapping. Come posso andare in Piazza se poi guardo il Palazzo del Capitanio, blu a strisce, e mi ricordo che sono sola, che la bruttezza la vedo io, di certo non i tre tizi di Sarmeola di Rubano che scattano foto, che era meglio rimanere analfabeta, “analfabeta funzionale” come puntualizza un titolo di Repubblica di oggi. Se invece di dedicare la mia vita all’arte mi fossi laureata in fisiopatologia della riproduzione degli animali domestici ora non starei soffrendo. Capite che non posso andare in piazza a bere il prosecco.

Pertanto regalo un po’ di auguri, ispirati alla mia esperienza di vita del 2024. A tutti coloro che hanno istituzionalizzato un anziano in RSA pur potendo tenerlo a casa tramite sacrifici grandi o piccoli, auguro che le RSA chiudano. A tutti coloro che per vergogna sociale evitano di mandare il figlio in psicoterapia, auguro di devolvere metà del proprio stipendio in ripetizioni private. Agli uffici comunali che chiedono al privato cittadino di pagare di tasca propria l’abbattimento delle barriere architettoniche su suolo pubblico, auguro tanti ciclisti su tante buche. A chi fotografa le luci blu sui palazzi di Padova, auguro di entrare nella Cappella degli Scrovegni e di guardare in alto. E a chiunque mi abbia messo i bastoni tra le ruote, auguro un regalo fatto da me; no, non una donazione. Vi regalerò la roba. Roba mia, vientene con me!

ARTICOLO n. 93 / 2024