ARTICOLO n. 88 / 2024

BYUNG-CHUL HAN, UNO DI NOI

O di come la sua indagine filosofica sia conforme a ciò che analizza

Parto dichiarandomi; sono un’appassionata lettrice di Byung-Chul Han.

Lavoro nella cultura, mi occupo di cinema e scrivo. Ho studiato arte e sono sempre stata attratta dalla filosofia, anche se il mio interesse non è mai sfociato in qualcosa di professionalizzante, se così si può dire. Ho sostenuto qualche esame all’università, ma il mio approccio è sempre stato per lo più da autodidatta seguendo di volta in volta percorsi di approfondimento filosofico molto personali.

Per come sono fatta ho sempre avuto bisogno di supporto teorico per comprendere il mondo e ciò che mi accade. Le teorie femministe per esempio, così come quelle filosofiche in generale, mi hanno sempre aiutata a interpretare gli eventi, e così, senza alcuna pretesa accademica, mi sono avvicinata ai testi di Byung-Chul Han, come tanti altri, credo, attratta dal discreto successo che hanno riscosso in Italia grazie anche alle splendide edizioni di Nottetempo ed Einaudi, curate e insieme estremamente pop.

Ecco: questi volumetti snelli, agili e dall’altissima leggibilità, sono capaci di tessere con garbo e decisione le fila di una tematica, già ben espressa nei titoli, e di condurre il lettore al punto senza distrazioni né deviazioni, dando l’opportunità alla donna della strada, come me, di concentrarsi in breve tempo su riflessioni teoriche che non siano mediate dall’arte o dall’informazione.

Piccoli compendi sul vivere contemporaneo, che corro a comprare ogni volta che ne esce uno nuovo, percependoli come quasi indispensabili per uscire nel mondo e comprenderne i meccanismi sociali. E a ogni nuovo volume mi stupisco di quanto Han sia capace di colpire il bersaglio affrontando temi che, consciamente o meno, abbiamo tutti preso in considerazione senza però riuscire a metterli a fuoco e su cui, nell’incessante incedere della vita quotidianità, abbiamo finito per inciampare.

Molti, anche in Italia, si sono interrogati sul successo della filosofia di Han e sull’originalità di questo pensatore così sui generis, capace di distinguersi dai colleghi per la chiarezza espositiva e l’approccio diretto ai suoi temi. Una delle possibili ragioni di questa limpidezza stilistica risiede, come sottolineato già da molti, forse nel punto d’incontro tra due culture di cui è portatore: da un lato, l’essenzialità della tradizione orientale, mondo in cui è cresciuto e che privilegia espressioni asciutte e prive di eccessi, dall’altro, la precisione della tradizione occidentale tedesca, dove Han ha studiato, insegna e risiede fin dall’età di vent’anni. Questo connubio tra culture così affascinanti dà origine a una straordinaria chiarezza e a una profondità di analisi che si esprimono in testi privi di deviazioni e sbavature. 

I suoi scritti sembrano congegnati per essere sottolineati parola per parola, mettendo in difficoltà una come me, che ama evidenziare e rimarcare con segni a matita solo i concetti chiave dei libri, perché ogni sua frase sembra indispensabile; nei suoi testi, infatti, nessuna lunga e verbosa spiegazione o pesanti genealogie teoriche tanto comuni nei testi di ricerca, portano fuori fuoco o fanno abbassare il livello d’attenzione. E le citazioni di altri sistemi teoretici o pensieri di colleghi sono pochissime e utili solo a essere contraddette o derubricate come inesatte. Così, Han procede senza inciampi con l’incedere pacato e coraggioso di chi, come il saggio, possiede la verità e la sa condividere con la limpidezza dell’illuminato.

Schivo, lontano dai riflettori e dal ritmo incessante della divulgazione accademica, la sua figura sembra perfettamente in linea con la forza teoretica che rappresenta – un mix esplosivo per chi, come me, è in costante ricerca di comprensione dei meccanismi della postmodernità.

Byung-Chul Han sembra dunque possa fornire attraverso ciò che scrive, come lo scrive e la sua stessa essenza, un orizzonte filosofico per l’uomo contemporaneo.

In questo senso, quello che più risulta apprezzabile e godibile è la semplicità d’esposizione che riscontra chiunque abbia un po’ di dimestichezza con il linguaggio filosofico.

Davvero, niente mi appaga più di poter riflettere sulle questioni del nuovo millennio anche mentre sono in sala d’attesa dal dentista o sto aspettando che mio figlio esca da Psicomotricità. 

E questo Han, come un manuale pronto all’uso, mi permette di farlo.

Poco importa se, addentrandomi sempre più nel suo linguaggio, a volte mi sono sentita intimorita dalla sua assertività, dalla sua sicurezza teutonica appunto, quasi incrollabile, e da un sistema di pensiero che, strutturato com’è, non ammette pareri alternativi. Poco importa, perché ciò che dice appare sempre così estremamente sensato e corretto, così ben formulato ed estremamente fondato su studi fatti in modo così estremamente accurato. 

Quasi più intimorita che di fronte a un vecchio filosofo di formazione novecentesca e dall’impostazione patriarcale che inventa mondi complessissimi e linguisticamente respingenti al limite dell’incomprensibile. In questi mondi autoreferenziali e spesso dogmatici, anche quando non sembra, è però necessario “metterci del proprio” per trovare il senso, fare uno sforzo di sintesi che richiede di appellarsi al proprio sapere filosofico e al proprio senso immaginativo.

Al contrario, in Han non si avverte la necessità di alcuna conoscenza filosofica di base, né è richiesto uno sforzo di decodifica. La sua modalità di scrittura solleva il lettore dall’impegno di un’interpretazione personale; ogni concetto è talmente nitido e sensato da non lasciare margini, né di incomprensione, né di disaccordo.

Così, durante una delle cene del venerdì sera, tra noi soggetti di prestazione (come direbbe lui) intenti a confrontarci e a riconoscere il nostro non-essere-più-in-grado-di-non-poter-fare questa sua razionalità assoluta, questa sorta di “infallibilità” ci ha portato a riflettere sulla natura del pensiero e sulla figura di Han, forse molto più simile a quella di un sociologo che di un filosofo.

Lungi dal creare teorie alternative o mondi possibili, Han offre infatti semplicemente una lucidissima, razionale e ben supportata presa di coscienza di ciò che stiamo vivendo – niente più e niente meno. 

Che naturalmente è già molto.

Ecco però che se non è propriamente derubricabile come sociologia, la sua è però una teoria priva di immaginazione, priva di visioni per il futuro che non esce mai dal seminato, non si perde in nessun bosco di senso, non si serve di invenzioni o narrazioni, ma risulta trasparente esattamente come la società che analizza non senza una certa amarezza.  Che è molto probabilmente anche il motivo per cui è così apprezzato da noi donne e uomini stanchi, il cui eros è in agonia mentre siamo attorniati da non-cose.

Han non ci chiede quindi di immaginare o di sognare, ma ci invita semplicemente a prendere coscienza, a fare i conti con una realtà dei suoi scritti cristallina, nuda, perfettamente aderente alla società che racconta.

E pur nello sconforto che il contenuto dei suoi testi provoca, il fatto che lui stesso, il suo potenziale filosofico siano così aderenti al vivere di uomini e donne della società senza dolore come noi, che con tanta lucidità descrive, disincanta e disillude (se ancora ce ne fosse bisogno) ma risulta vagamente consolatorio.

ARTICOLO n. 87 / 2024