ARTICOLO n. 44 / 2024
I LIBRI DI ADRIANO OLIVETTI
Pubblichiamo un’anticipazione dall’ultimo libro di Chiara Faggiolani, Il problema del tempo umano. Le biblioteche di Adriano Olivetti: storia di un’idea rivoluzionaria (Edizioni di Comunità) da domani in tutte le librerie. Ringraziamo l’autrice e l’editore per la disponibilità.
I libri sono un elemento fondamentale della vita di Adriano, nella sua infanzia e nella sua educazione: i libri non da possedere, non come oggetto, ma considerati per ciò che essi incarnavano nella loro funzionalità. La conoscenza, l’ispirazione, la visione alla base dei suoi “progetti di rigenerazione totale del mondo”.
Per questo forse non è azzardato dire che ad Adriano i libri non bastavano: aveva bisogno di ascoltare, di capire interagendo, di investigare e di intercettare nuove idee aprendosi soprattutto ai giovani, che andava a cercare e da cui riusciva a tirare fuori il meglio, spesso aiutandoli a capire e scoprire la loro vocazione «dietro lo sportello di una banca come Barolini, fra gli studiosi impegnati nel terzo mondo, come Meister, tra i banchi della scuola come Pampaloni, tra gli ultimi anarchici come Doglio e Fedeli, tra i perseguitati politici come Tulli, tra i reduci di Nomadelfia come Perego, tra pasticcieri come Strobbia o tra i ceramisti come Giorda. Parlava loro con grande umanità, ma, soprattutto, con estremo “pudore”, dimostrando molto interesse per il messaggio, piccolo o grande che fosse, di cui ogni uomo è portatore. Tutto ciò che era intelligente lo attraeva».
Adriano Olivetti non era un intellettuale o meglio non lo era con l’accezione che attribuiamo oggi a questa espressione. Era un industriale. Era un ingegnere di Ivrea. La sua terra condiziona il suo modo di vedere le cose: una società in cui individui e comunità si trovano in equilibrio, in cui l’individuo si trova realizzato nel suo essere parte della comunità e la comunità è la risultante dell’incontro di individui liberi che si esprimono sulla base di idee che sono state elaborate e informate. Idee e azioni.
Anche se amava circondarsi di volumi, di opere d’arte, rimarrà per tutta la vita un uomo di pochi libri, che però assimilava, faceva suoi al punto di provare un vivo bisogno di dividere con gli altri quella scoperta che gli aveva spalancato nuovi orizzonti, gli aveva suggerito idee feconde. La casa editrice Comunità nacque proprio per far divenire patrimonio comune le sue “scoperte”. Si pensi all’opera di Mumford da cui trarrà, come da una ghiotta miniera, tante “illuminazioni” sul valore
educativo, culturale dell’architettura, dell’urbanistica, sulla necessità di fondere armonicamente l’ambiente rurale e quello
urbano, di decentrare le facoltà universitarie nelle cittadine di provincia, di legarle finanziariamente alla Comunità e all’industria, e tante altre cose ancora. Tra i suoi libri cercheresti invano quelli storici, oppure il romanzo (che non fosse quello romantico francese). Non amava la musica più di quanto lo attraessero le arti figurative (anche se ne intuiva il valore rasserenante e formativo per altri, che riteneva più fortunati di lui). L’oggetto che più polarizzava la sua attenzione era sempre l’uomo: il suo destino, il suo futuro, il suo progresso, il modo di migliorare la condizione delle masse attraverso l’industria (non l’agricoltura tradizionale), magica creatrice e dispensatrice di ricchezza, che aveva fatto sì che, nel giro di pochi decenni, l’ultimo dei manovali delle sue officine si nutrisse meglio di un principe medioevale, abitasse in case confortevoli e venisse a lavorare con l’auto. Tutte cose che mezzo secolo prima “era follia sperar”. Non era raro il caso che Adriano convocasse un suo collaboratore solo per comunicargli di avere scoperto un libro “illuminante”. Tale fu il destino di quello di Bergson Le due sorgenti. (Vico Avalle, Ugo Aluffi, Pino Ferlito, cit.)
La sua relazione con i libri è mediata da esperienze completamente diverse. Ne individuo quattro che possiamo considerare la stratificazione dei suoi paradigmi ancestrali:
1. l’educazione alla lettura in famiglia condivisa con i genitori e i fratelli;
2. la lettura tecnica, volta alla fabbrica, nelle biblioteche americane durante il viaggio del 1925-1926;
3. l’inizio di una fase di lettura onnivora e asistematica che porterà alla formazione della biblioteca privata;
4. la lente dell’editoria, ovvero il supporto a numerose iniziative editoriali, la progettazione delle Edizioni di Comunità per portare in Italia ciò che non c’era. La consideriamo la costruzione della sua biblioteca ideale fuori da tracciati delineati e sentieri già percorsi per il rinnovamento culturale di cui il Paese aveva bisogno.
Questi quattro momenti rappresentano diverse fasi che raccontano una sorta di sedimentazione e di travaso e tutte e quattro concorrono alla definizione della sua idea di biblioteca come infrastruttura per lo sviluppo umano.
L’ambiente familiare influenza moltissimo lo stile e la personalità di Adriano. Influenza anche il suo rapporto con
i libri. La prima fase si concretizza proprio con il modo di leggere insieme trasmessogli in famiglia, l’abitudine di commentare i libri con i fratelli – Elena, nata l’anno prima di Adriano, nel 1900, Massimo più piccolo di un anno, del 1902, Silvia del 1904, Lalla del 1906 e Dino del 1912 – e di condividerne le suggestioni ricevute.
Il padre Camillo e la madre Luisa Revel così avevano formato i fratelli Olivetti. Questa attitudine fa sì che Adriano sia ben poco legato al libro come oggetto e aperto alle sollecitazioni più disparate.
La sera non si va più a letto alle nove e si parla di letture. È ancora Elena, la primogenita, a far spicco, a guidare il discorso.
È lei a buttarsi sulla letteratura russa, appena esce una nuova traduzione dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Ma si parla anche di Freud e di psicoanalisi, che già appassiona Elena, accanto all’occulto, al misterico. Gira anche un libro di interpretazione dei sogni e di astrologia. Adriano continua a subire il fascino della sorella maggiore, anche se mostra poco interesse per la letteratura. È da Elena che gli viene, o è alimentata nel momento determinante dell’adolescenza, quando i sentimenti prima che le idee si radicano fortemente, quella curiosità esoterica che lo accompagnerà per la vita, e che ha lasciato consistenti tracce nella biblioteca, nell’archivio personale, nel ricordo dei testimoni. Adriano leggerà presto il libro di Rudolf Steiner, I punti essenziali della questione sociale, critica spiritualista del capitalismo e, con il tempo, collezionerà una
trentina di libri dello stesso autore. Massimo, neppure di un anno più giovane di Adriano, più di Adriano è vivace: ama la letteratura, la musica, i divertimenti, suona il violino, anche se è assai mutevole di carattere e di salute. Lalla, la più graziosa,
diventerà la più egualitaria di tutti: sarà lei a introdurre i primi libri sulla rivoluzione sovietica, a sostenere che bisogna viaggiare assolutamente in terza classe. Dino, ancora bambino, ha altri orari e altri interessi. Di Silvia non parlo, perché da
lei vengono questi ricordi e per un senso di grande modestia non ha voluto dirmi di sé. Si sa però che ci teneva a far bene le cose, con puntiglio, a essere la prima della classe. Adriano e Massimo, il “fratello Max”, che allora sono molto vicini, fanno anche altre letture. Si passano la Fisiologia dell’amore e alcuni libri di Paolo Mantegazza, ma la madre li requisisce e li brucia nella stufa. Camillo mette invece fra le loro mani il Self-Help di Samuel Smiles, una galleria di personaggi che si sono formati con una virile disciplina interiore. (Valerio Ochetto, Adriano Olivetti. La biografia)
Se prendiamo come riferimento un altro rapporto familiare fortemente incentrato sulla condivisione del libro quale è quello di Giulio Einaudi con suo padre, il Presidente Luigi Einaudi, appassionato bibliofilo, qui siamo di fronte a uno scenario completamente diverso. Non è il libro nella sua oggettualità che interessa, ma lo scambio che esso rende possibile come oggetto relazionale e di crescita: la lettura.
Dunque, un primo strato che influenza il rapporto di Adriano Olivetti con i libri è l’ambiente nel quale cresce, l’atmosfera culturale di una famiglia doppiamente minoritaria, padre ebreo e madre valdese, dove domina un fortissimo spiritualismo.
Aveva ereditato la sensibilità religiosa ebraica da suo padre, sebbene Camillo non fosse praticante, e quella valdese da sua madre. Dopo la conversione al cattolicesimo, avvenuta in età adulta, ogni sera, prima di addormentarsi, leggeva qualche pagina del Vangelo, così come nei momenti di difficoltà ne apriva a caso una per trarne ispirazione […].
È dal padre Camillo, personalità colta ed eclettica, geniale, che Adriano eredita la visione della fabbrica come attività economica al servizio della vita sociale. Non dimentichiamo che nell’affidare ad Adriano l’organizzazione della fabbrica, Camillo gli aveva dato la precisa indicazione di poter fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno a motivo dell’introduzione dei nuovi metodi, perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia. È Camillo a introdurre nel nucleo sicuro e famigliare l’idea che, se il cuore di un uomo cambia il suo volto, tanti cuori e tante menti possono cambiare il mondo.